Dove c’è una crisi c’è Angela Merkel. Che si tratti di Ucraina o di Grecia, lei è l’interlocutore che rappresenta l’Europa. Gli altri presunti protagonisti – dal mite François Hollande ai vari commissari europei, Federica Mogherini o Pierre Moscovici – sono solo comparse che servono a salvare la finzione di una politica estera che sia vagamente europea e non soltanto una proiezione di quella tedesca. Sui destini del governo Tsipras e il nuovo, ennesimo, piano di salvataggio Angela Merkel ha potere di veto: poco comprese dai più, anche le mosse di Mario Draghi, che con la Bce sottolinea la gravità della situazione di Atene, servono a mettere Berlino davanti alle proprie responsabilità.
Prima Draghi ha minacciato di non accettare più i titoli greci come garanzia dei prestiti Bce alle banche, se il governo di Alexis Tsipras rompe con Bruxelles. Poi, ieri, ha aumentato la liquidità di emergenza alle banche greche. Messaggio in codice: i capitali stanno fuggendo, si rischia la corsa agli sportelli. Meglio trovare un accordo.
Mario Draghi è l’unico a saper trattare con Angela Merkel. L’unico assieme a Vladimir Putin. La Germania ha sempre avuto un rapporto complicato con la Russia: sia per la sua storia, con la divisione durante la Guerra Fredda, si per la dipendenza energetica dal gas di Mosca. Certo, la cancelliera non ha mai sottoscritto le parole del suo predecessore Gerhard Schröder che nel 2004 definì Putin “un perfetto democratico”. E dopo la fine della sua carriera politica non diventerà sicuramente una lobbista del gas russo, come Schröder. Ma neppure ha mai tenuto una posizione ostile: da pragmatica e cinica power broker, ha sempre tarato le sue posizioni sulla Russia in base alle esigenze di politica interna e alle mosse dei rivali della Spd, i socialisti più inclini a un approccio dialogante.
Una recente inchiesta a puntate del Financial Times ha documentato che c’è stato però un punto di svolta: l’abbattimento del B777 della Malaysia Airlines, il 17 luglio del 2014, in Ucraina. La responsabilità dei ribelli filorussi è abbastanza evidente fin da subito. Quel disastro è per Angela Merkel l’equivalente del long telegram di George Kennan del 1946: il diplomatico americano spiegò a Washington che con i russi non si poteva trattare, ma si andava verso un confronto bipolare di superpotenze. Così gli incontri con il presidente della Russia dopo quel disastro hanno chiarito alla Merkel che serviva un cambio di strategia. Putin, ha constatato con disappunto la cancelliera, è un bugiardo: mente sul supporto alle milizie in Ucraina, mente sugli spostamenti delle forze russe, mente sulle sue reali intenzioni. Che a Berlino nessuno capisce più bene quali siano. Comincia a prevalere l’idea che sia un autocrate fuori controllo, mosso solo dai suoi deliri di onnipotenza zarista.
Anche se il 60 per cento dei tedeschi intervistati dalla Fondazione Korber auspica un basso profilo internazionale, Angela Merkel si è rassegnata al protagonismo. E affronta tutti i dossier con lo stesso metodo: studia. Sembra poco, ma in una Europa con premier improvvisati o inesperti, la preparazione è un’arma. Ai Consigli europei padroneggia i capitoli dei memorandum dei Paesi sotto Troika meglio dei governi locali. In un vertice recente ha chiesto notizie al premier portoghese Pedro Passos Coelho della nuova linea della metropolitana di Lisbona. Lui era impreparato. A ottobre, a Milano, si è presentata al tavolo con Putin con mappe dettagliare sui check point e gli spostamenti delle truppe per dimostrare che la Russia non stava rispettando gli accordi di Minsk.
La sua sembra una forza individuale, ma non è così. Il peso diplomatico del capo del governo tedesco non dipende solo dalla sua reputazione individuale, ma dalla capacità di “fare sistema”, come diceva Luca Cordero di Montezemolo quando guidava Confindustria. I funzionari tedeschi nelle istituzioni internazionali, come la Commissione europea, continuano a pensare da tedeschi e infondono anche alle tecnocrazie la loro cultura economica e politica. Le aziende tedesche hanno un peso di lobbying superiore anche a quello delle concorrenti inglesi. Berlino riesce sempre a dominare tutti i dossier sensibili, dall’euro al Ttip (il trattato di libero scambio con gli Usa).
Una forza diplomatica che però è al servizio degli interessi tedeschi, non dell’Unione europea nel suo complesso.
Il Fatto Quotidiano, 13 Febbraio 2015