Il 17 febbraio la squadra toscana compirà un secolo, ma i festeggiamenti in città inizieranno già dal 14. Il campione riminese ma labronico "d'adozione": "Livorno è un posto unico: la gente non riesce a allontanarsi, ha un rapporto quasi morboso con la propria città. Le dicono le peggiori cose, ma guai se le critiche arrivano da fuori"
Era il 12 febbraio del 1915 e la vicenda della Virtus Juventusque andò in archivio tra incendi, gomitate e pietre contro il tram: quella volta la rivalità con il Pisa era andata un po’ oltre. Due giorni dopo i dirigenti della società temettero un’altra esplosione di violenza al momento dell’annuncio della fusione con la Spes. Le altre squadre toscane parevano irraggiungibili, era il momento di dare a Livorno una compagine all’altezza. I tifosi capirono e si chetarono. Mercoledì 17 febbraio nasceva l’Unione Sportiva Livorno con l’obiettivo di mettere in pratica le lezioni di Menio Carmichael, figlio del vice console britannico che aveva imparato le regole del gioco dai marinai di Sua Maestà tra le banchine del porto. Al campo di Villa Chayes, lungo il “bel mare increspato dai venti” cantato nell’inno dal fondatore Giorgio Campi, fu issata la bandiera amaranto.
Nel 1920, alla ripresa dei campionati dopo la guerra, i “baldi e fieri compagni” del Livorno sfiorarono lo scudetto e lo stesso avvenne l’anno successivo. Quella volta la corsa terminò a pochi minuti dal termine della semifinale contro il Pisa, quando centinaia di tifosi labronici invasero il campo imbestialiti e provocarono la cancellazione del derby dai calendari per 15 anni. Campanilismo, sfortuna, esuberanza erano e rimasero le uniche certezze nella storia di questo club.
Nell’aprile del 1943 un gol di Valentino Mazzola negò lo scudetto che vinse il suo Torino fino al 1949 e la retrocessione in B.
Arrivarono gli anni del livornese Armando Picchi, cui la città dedicò lo stadio dell’Ardenza che il fascismo aveva voluto per Edda Ciano. Arrivarono qualche gioia, fallimenti e tanti mugugni nei 55 anni di esilio lontano dalla massima serie. Fu un altro figlio della città, Cristiano Lucarelli, il 29 maggio del 2004 a spezzare l’incantesimo e riportare la squadra dove era certa di dover stare. Dopo un indimenticabile esordio-esodo a San Siro per salutare l’allora presidente del Consiglio, furono quattro anni di A con capatina in Europa. Poi ebbe inizio un saliscendi tra le categorie che si spera ancora in vigore.
Dopo 16 anni di gestione Spinelli i tempi della gloria paiono andati, la passione rimane intatta. “Livorno è un posto unico: la gente non riesce a allontanarsi, ha un rapporto quasi morboso con la propria città. Le dicono le peggiori cose, ma guai se le critiche arrivano da fuori”. E’ la livornesità, quella di Piero Ciampi e del Vernacoliere, secondo un livornese acquisito, membro onorario di una comunità che lo adora: Igor Protti è nato a Rimini, arrivò per la prima volta in Toscana nel 1985 e ci tornò 13 anni dopo. Negli ultimi 6 anni di carriera giocò 203 partite e segnò 111 gol in amaranto, un record. “Con quella maglia ho vissuto anni straordinari – racconta – A 18 anni mi innamorai della città e dei suoi volti, mai più avrei pensato di ridare loro la gioia della Serie A. Il calcio è stata la mia vita e io sono sempre stato un tifoso. Ho giocato con la consapevolezza di indossare la storia, la passione, i momenti belli e soprattutto quelli difficili di un popolo. Credo che sia questo il motivo del mio rapporto felice con il pubblico”. Un’empatia che nel suo caso ha raggiunto livelli senza precedenti. A ogni partita dalla Nord del Picchi si alzava il coro Igor Protti capo degli ultras. Sulle gradinate allora si facevano valere le Brigate Autonome Livornesi, uno dei gruppi più a sinistra d’Italia.
Inevitabile per la città che nel 1921 diede vita al Partito Comunista Italiano. Negli anni la curva livornese è stata fiaccata da Daspo e polemiche, come quelle per i fischi ai morti di Nassiriya e per gli striscioni contro i triestini. “Abbiamo passato anni di grande simbiosi tra la squadra e la tifoseria, è stata un’esperienza coinvolgente da un punto di vista umano – dice Protti – Non so se sia giusto mischiare calcio e politica, ma ai livelli più alti il pallone ne è pieno e quindi non vedo lo scandalo se appare ai piani bassi”. Sabato 14 febbraio, nel giorno degli innamorati, sarà in città per festeggiare i 100 anni del Livorno. Al Modigliani Forum si apriranno tre giorni di celebrazioni con il concerto della Banda Bassotti e un match di pugilato di Lenny Bottai, campione dei Superwelter e grande tifoso amaranto. “Per anni i ragazzi della curva ci hanno seguito su e giù per l’Italia – conclude Protti – quando posso io per loro ci sono. E sempre forza Livorno”.