Il capogruppo di Sel coinvolto suo malgrado nel parapiglia: "Appena ho preso la parola siamo stati insultati dai colleghi del Pd e da lì è partita la zuffa. La protesta del Movimento 5 Stelle non ha permesso ai colleghi dell’opposizione di parlare"
Ennesima notte di follia a Montecitorio. Dove la seduta fiume sul ddl Riforme si è trasformata in un far west con deputati del Movimento 5 Stelle (M5S) espulsi e la rissa scoppiata fra esponenti del Partito democratico (Pd) e Sinistra Ecologia e Libertà (Sel). “Appena ho preso la parola siamo stati insultati dai colleghi del Pd”, spiega a ilfattoquotidiano.it Arturo Scotto, capogruppo di Sel alla Camera, rimasto coinvolto suo malgrado nel parapiglia. “Si è trattato – aggiunge Scotto – di un episodio molto pesante e anche Renzi, una volta in Aula, non ha fatto nulla per rasserenare il clima”.
Onorevole Scotto, appena lei ha preso la parola è scoppiata la bagarre. Cos’è successo?
La situazione era molto tesa, anche perché la decisione di procedere con una seduta fiume è forte e senza precedenti nella storia delle riforme costituzionali. La protesta del Movimento 5 Stelle non ha permesso ai colleghi dell’opposizione di parlare. Essendo anche noi contrari al modus operandi del governo, quando ho iniziato a parlare alcuni deputati del Pd hanno reagito. Da lì è partito il parapiglia.
Sta dicendo che dai banchi del Pd sono volati insulti nei vostri confronti?
Sì, siamo stati apostrofati con una serie di epiteti che non sto qui a ripetere da alcuni deputati del Partito democratico e alcuni colleghi di Sel hanno reagito.
Poi cos’è successo?
C’è stato un chiarimento ma, per quanto mi riguarda, si tratta di un fatto molto pesante. E lo dico con il cuore che mi sanguina perché ritengo che fra ‘compagni’ non ci si dovrebbe mai picchiare.
Lei ha parlato di “capolavoro” del governo…
Di questo si tratta. Cambiare 40 articoli della Costituzione in clima simile non fa mai bene e determina una frustrazione pesantissima da parte dell’opposizione. Si rischia di creare uno scontro su cui è poi difficile tornare indietro.
Prima che lei prendesse la parola il vicepresidente Roberto Giachetti ha parlato di “violenza antidemocratica. Solo nei tempi fascisti” e ha aggiunto che “non si poteva esprimere la propria opinione”. Un po’ come buttare benzina sul fuoco.
Tutti dovremmo utilizzare termini meno pesanti, che rischiano di alimentare tensioni in un clima già molto caldo. Compresa la presidenza. Il problema è che, al momento, ci ritroviamo schiacciati fra una maggioranza che riduce la discussione sulle riforme ad una prova muscolare e una forma di protesta che non porta a risultati concreti. Ormai il confronto sul merito dei provvedimenti è saltato. Eppure il presidente del Consiglio fa finta di non vedere…
Matteo Renzi, ad un certo punto, è comparso in Aula.
È stato due ore e mezza seduto fra i banchi del governo senza prendere mai la parola malgrado le nostre sollecitazioni. Più che un capo del governo sembrava l’allenatore di una squadra venuto ad incoraggiare i suoi. Invece avrebbe dovuto spiegare al Parlamento perché bisogna riformare la Costituzione con un decreto legge ponendo tempi così serrati.
Malgrado il vostro appoggio per l’elezione di Sergio Mattarella, i rapporti con il Pd sono tornati quelli di prima. Se non addirittura peggiorati. Sbaglio?
Noi ragioniamo sul merito delle proposte. Mattarella ha rappresentato una straordinaria sintesi fra le posizioni di Sel e quelle del Pd, ma sul Jobs Act e la riforma costituzionale abbiamo visioni completamente diverse. Il punto non è riaprire un dialogo fra noi e i dem, ma che il Pd dia corpo alle ragioni della sinistra.
E invece?
Siamo di fronte ad uno slittamento continuo verso posizioni incomprensibili agli occhi dell’elettorato progressista. Aggiungo una cosa.
Prego.
Non capisco perché, una volta incrinatosi il rapporto con Forza Italia che sembrava blindato, il Pd non abbia riaperto il dialogo con le opposizioni. In particolare su quei punti che erano intoccabili visto l’accordo stretto con Berlusconi.
Quindi, secondo lei, il patto del Nazareno non è finito?
Forse lo è sul piano del rapporto personale fra Berlusconi e Renzi, ma continua e si incarna dentro questa riforma costituzionale. Quando c’è una novità politica bisognerebbe prendere ago e filo e ricucire la situazione. Invece Renzi è favorevole a questo scivolamento culturale che determina un rafforzamento del potere esecutivo rispetto a quello legislativo che è sempre stato l’obiettivo del leader di Forza Italia.
Twitter: @GiorgioVelardi