La serata delle cover è tradizionalmente quella più interessante del Festival. O almeno la meno noiosa, che soprattutto quest’anno non è poco. Consuetudine confermata anche ieri sera, con i Big in gara decisamente più efficaci rispetto a quando cantano i loro inediti sul palco dell’Ariston. Merito dei grandi successi italiani scelti, ma anche di un approccio forse meno ansioso alla gara.
E il clima più festoso rispetto alle prime due grigissime serate ha giovato anche a Conti e compagnia, che ieri hanno aumentato seppur di poco il livello. Un contributo decisivo alla migliore riuscita della serata è stato dato da Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu, primi veri superospiti comici dopo il disagio provocato da Siani e Pintus. I comici genovesi sono andati in scena in due diversi momenti della serata, entrambi incisivi e divertenti, a cominciare da una canzone spassosissima e meravigliosamente cinica sulla tendenza di quest’anno a ricordare gli artisti morti. Tra i versi più apprezzati: “Commemora anche Fazio, officia Gramellini. Però solo se il morto è un cantautore” e “i cantautori genovesi da morti sono anche più allegri”. Qualcuno ha storto il naso in sala stampa perché “sulla morte bisogna andarci cauti”. E invece ieri sera all’Ariston è arrivata un po’ di sana cattiveria, di sberleffo davvero strafottente e senza badare troppo alle linee guida democristiane di Carlo Conti. Il secondo intervento era sul matrimonio gay. Niente di rivoluzionario, per carità, ma Mario Adinolfi avrà sicuramente accusato il colpo. Poi, vedendo Massimo Giletti in prima fila, accennano alla lite fra lui e Mario Capanna sui vitalizi: “Sei stato bravissimo Giletti, contro la casta. Sei diventato come Stella”.
Per la serie “Essi vivono”, sono tornati persino gli Spandau Ballet. L’aneddoto è noto: trent’anni fa, inviato da una radio toscana a Sanremo, Conti avrebbe voluto intervistarli ma non ci era riuscito. E allora, con Tony Hadley che ormai somiglia a una porchetta di Ariccia, adesso si è tolto la soddisfazione di invitarli. Ma in fondo il tuffo negli anni Ottanta regalato dal medley di Through the barricades, Gold e True è stato tutt’altro che sgradevole. Nota a margine: gli Spandau sono stati molto apprezzati dalle giornaliste della sala stampa dell’Ariston (quelle dagli -anta in su), che hanno persino fatto la fila per gli autografi.
Ormai protagonista di una presenza mediatica quasi più fastidiosa di quella di Salvini, è poi spuntata la solita Samantha Cristoforetti in collegamento dalla Stazione spaziale internazionale. In realtà l’ospitata era stata clamorosamente bruciata da Fazio a Che tempo che fa la scorsa settimana, e Conti è stato costretto a ripetere un po’ le stesse domande, giocando sul microfono che fluttua, sulla meraviglia della Terra vista dallo spazio e poco altro. Lei, Samantha, col suo capello ribelle ancora più martoriato dall’assenza di gravità, sembrava Edward Mani di Forbice.
La serata delle cover era, per quel che conta, una gara nella gara. Ha trionfato Nek con una sorprendente e apprezzata versione di Se telefonando di Mina e si è portato a casa nientepopodimenoche un nuovo fiore dalle ammalianti sfumature cromatiche (almeno secondo Conti) creato ad hoc dai maestri fiorai di Sanremo. Trattasi in realtà di un banalissimo garofano già visto e rivisto, ma non ditelo ai sanremesi perché ci rimarrebbero malissimo. Al secondo posto i tenorini de Il Volo, seguiti da Marco Masini, Moreno e i Dear Jack, a sorpresa solo quinti. Tra le altre esibizioni non arrivate alla finale a 5 per colpa del televoto cinico e baro, da segnalare una perfetta Malika Ayane con Vivere di Vasco Rossi. Tra i peggiori, Bianca Atzei che deturpa Luigi Tenco e Biggio & Mandelli che provano a fare Cochi & Renato e falliscono miseramente.
Sul fronte conduzione, Emma e Rocio promosse con notevoli passi avanti, mentre Arisa, complice un fantomatico anestetico prescritto da un certo dott. Ferlito, era ancora più sopra le righe del solito, dopo che ieri in conferenza stampa aveva deliziato tutti parlando di cacca e mestruazioni. Picchi inconsapevolmente pulp di cui avremmo volentieri fatto a meno.