L’ultimo libro della scrittrice e attivista canadese Naomi Klein, Una rivoluzione ci salverà, è un’utile lettura per riflettere sulla più pericolosa crisi che l’umanità sta vivendo: quella ecologica. Come la stessa autrice ha ammesso, solo di recente ha compreso come sia prossimo il limite ambientale. Un limite che se superato può farci precipitare in un baratro da cui la nostra specie non potrebbe più sollevarsi.
Il problema è che se un’attivista impegnata come la Klein, solo da qualche anno ha compreso che i gas climo-alteranti immessi nell’atmosfera hanno cucito una coperta termica che sta facendo lievitare le temperature e di conseguenza fondendo i ghiacciai e desertificando sempre più terreni, figuriamoci il cittadino medio tenuto volutamente all’oscuro.
Il testo della Klein non è particolarmente originale. A chi analizza certi fenomeni, molte delle tesi espresse risulteranno pleonastiche, tuttavia per un lettore esordiente in materia è una lettura consigliata. Specie per un lettore americano, Paese dal quale ancora gran parte di una classe politica nega persino l’esistenza del surriscaldamento in atto che invece è asserito dalla totalità del mondo scientifico. Del resto proprio dagli Usa viene elargito dai responsabili dell’alterazione climatica un miliardo di dollari all’anno per far affermare a giornalisti, politici ed economisti che il cambiamento climatico è una chimera.
Nel nostro Paese agli slogan ambientalisti del governo poi seguono leggi in linea al pensiero unico della crescita. Si pensi allo Sblocca Italia che permetterà nuove estrazioni di petrolio, nuovi incenerimenti di rifiuti e nuove colate di cemento.
Il libro della Klein è un assist da cui possono scaturire riflessioni più articolate in materia economica. Ma non solo, può essere anche un’occasione per un’auspicabile autocritica sulle scelte fatte dal frastagliato mondo ambientalista. Gli economisti di diversa estrazione, ma tutti devoti al dio della crescita, in Tv come dei bravi conduttori di una televendita cercano di piazzare il loro anacronistico paradigma di una crescita infinita in un pianeta finito. I neoliberisti tentano di piazzare Von Hayek, Friedman e i Chicago boys, i keynesiani, John M. Keynes e il gruppetto di marxisti sopravvissuti, Karl Marx. Tutti fautori di modelli economici e di visioni politiche nate nel secolo scorso che hanno in comune il miraggio della crescita. Una crescita che oggi, a prescindere dall’impatto ambientale, potrà essere solo effimera perché gonfiata da bolle monetarie. Inoltre, persino gli studi finanziati da multinazionali (le principali responsabili dell’attuale sfascio ambientale) indicano che nei prossimi anni, puntando ancora sulla crescita e quindi sullo sviluppo della tecnica, l’occupazione umana decrescerà in maniera esponenziale. In occidente crescita non è sinonimo di occupazione.
La Klein opportunamente fa notare come il movimento ambientalista sia spesso subordinato o usato per gli interessi di coloro che a monte causano i disastri ambientali. Un esempio italiano è il sinistro accordo tra il centro di ricerca Rifiuti Zero di Capannori e McDonald’s. Ad un ambientalismo che si fa strumentalizzare dalle multinazionali per farsi dare una pennellata di verde, si affiancano delle frange autoreferenziali che accettano la partecipazione solo di coloro che possiedono la medesima tessera ideologica.
La rivoluzione propugnata dalla Klein si può avere solo aprendosi a tutti, avendo come unico obiettivo la consapevolezza dei più in grado di farsi Stato. Lo Stato si deve riprendere le chiavi di quel potere esecutivo donato da una politica impavida a corporation che hanno come unico fine il profitto. Un profitto che pur di realizzarlo ha permesso di esternalizzare i costi inquinando l’aria, l’acqua, la terra e i nostri corpi sempre più vittime di malattie nefaste. Solo uno Stato efficiente, libero dalle cricche ed aperto a tutti i cittadini può sovvertire questo paradigma creato a vantaggio di pochi.
La storia è colma di esempi di rivoluzioni a cui sono seguite controrivoluzioni e restaurazioni. Una rivoluzione ci salverà solo se prima si realizza una rivoluzione personale. Una rivoluzione che libera da quella brama di potere e di visione elitista che a volte coincide tra chi contesta e chi causa i disastri ambientali ed economici. In altri termini serve una conversione. Una conversione che poi sia anche ecologica come propugnava l’indimenticato Alexander Langer.