Uber e l’innovazione nel mercato del lavoro: il futuro a tutele decrescenti
anche sul mondo del lavoro.
Questa volta la spinta non viene dai “perfidi padroni” o dagli infami “turboliberisti” come piacerebbe a qualche nostalgico marxista (che oggi per pudore si fa chiamare impropriamente keynesiano), ma si tratta dell’effetto combinato dell’innovazione tecnlogica e della maggiore disponibilità di lavoro flessibile.
Il meccanismo è semplice: la tecnologia consente di ridurre drasticamente i costi di transazione tra gli individui e questo rende possibile la sostituzione di imprese, che impiegano lavoratori a tempo pieno, con “piattaforme”, che semplificano e velocizzano la conclusione di accordi tra gli individui. Riducendo l’intermediazione operata dalle imprese tradizionali, si riduce anche il fabbisogno di lavoratori a tempo pieno impiegati da quelle aziende che possono godere di ferie retribuite, indennità di malattia, etc.
I beneficiari principali di questo fenomeno, oltre ai consumatori, che possono ottenere servizi a prezzi più bassi e con un livello di personalizzazione e di tempestività inconcepibili fino a pochi anni fa, sono quei lavoratori che per scelta o per necessità preferiscono relazioni lavorative più flessibili quali ad es esempio, studenti-lavoratori, genitori che voglino dedicare più tempo ai propri figli, anziani che non vogliono ancora andare definitivamente in pensione, ma soprattutto coloro che, non avendo alternative, in mancanza di queste opportunità flessibili, sarebbero destinati alla disoccupazione.
Per converso, i proprietari e i dipendenti delle imprese che subiscono la concorrenza delle nuove piattaforme vedranno peggiorare la loro posizione.
Dovremmo leggere politicamente questo nuovo trend dell’economia globale? Si tratta di una guerra al ribasso tra poveri? Qual cosa che dovremmo in qualche modo contrastare, magari con interventi normativi volti a conservare le “conquiste” dei lavoratori moderni?
Come sempre la risposta è che in teoria è di certo possibile provare a intervenire, quanto poi sia praticamnte realizzabile farlo e, non da ultimo, se sia o meno giusto è questione molto più complessa. Ha senso impedire per legge ai telefoni cellulari di scattare fotografie? Eppure la concorrenza sleale di cellulari e tablet ha inferto un duro colpo ai produttori di macchine fotografiche di largo conumo. Quelle stesse macchine digitali che hanno spazzato via l’epoca della pellicola fotografica. Dovremmo restingere l’utilizzo delle email perchè hanno ridimensionato i volumi del traffico via fax e posta tradizionale?
La domanda più generale che dovremmo porci, tutte le volte che affiora la tentazione dirigista di stato (sempre con le “migliori” intenzioni sia chiaro) è se ha senso limitare la libertà individuale di tutti, con riferimento alla sfera delle scelte di carattere economico, in nome della tutela di una minoranza arbitrariamente scelta.
Questo per non affrontare spinosissime di equità: chi ci dice quale sia la scelta più giusta, dovendo scegliere tra una serie di minori benefici per alcuni individui in cambio della minore disoccupazione altri? Cosa è meglio e in base a quale criterio? Quel che possiamo osservare è che esiste una sensibile possibilità che molti lavoratori, nelle economie più sviluppate, vedano gradualmente ridursi una serie di benefit e tutele istituite in una precisa fase storica. Riusciranno i governi nazionali a predisporre le adeguate reti di protezione per limitare gli effetti indesiderati di questo processo?
Leggete in giro di qualcuno che si stia anche solo ponendo il problema?