Nello Yemen sta prendendo forma un’altra guerra per procura moderna, dove diversi stati partecipano attivamente al conflitto civile finanziando gruppi armati di fazioni diverse. L’esempio più eclatante e quello di massimo successo ce lo offre la Siria. Il nord del paese è ormai in mano ad una miriade di gruppi armati, signori della guerra ed organizzazioni criminali tutte finanziate da agenti esterni provenienti principalmente dal golfo Persico.
L’insurrezione yemenita vede in prima fila, gli Houthi, un gruppo armato sciita che negli ultimi mesi ha conquistato il potere. Lo scorso settembre gli Houthi, che appartengono alla setta sciita Zaydi e sono originari del nord del paese, sono entrati a Sana, la capitale e l’hanno conquistata. La scorsa settimana hanno dissolto il parlamento e istituito un processo di transizione di due anni sotto la loro leadership. Si tratta, praticamente, di un colpo di stato anche se non ufficialmente riconosciuto.
A finanziarli è l’Iran che dal 2011 sponsorizza anche la guerra civile in Siria. Fino ad ora Teheran ha usato gli Hezbollah libanesi per difendere il governo sciita di Assad dai ribelli sunniti, tra cui anche lo Stato Islamico, che a loro volta ricevono aiuti finanziari dall’Arabia Saudita, dal Qatar, dal Kuwait, tutte nazioni sunnite che perseguono un cambiamento di regime a Damasco.
Intanto a Sana cresce l’opposizione contro gli Houthi, in prima fila c’è al Qaeda nella penisola arabica, il gruppo armato legato alla vecchia al Qaeda di bin Laden, ma anche il movimento rivoluzionario dei giovani, che fino ad oggi è stato pacifico ma che difficilmente riuscirà a mantenere questa linea se scoppia la guerra civile. A questi vanno aggiunti i gruppi secessionisti provenienti dalle tribù del sud, anche loro adesso vorrebbero sbarazzarsi degli Houthi. Tutto ciò contribuisce a moltiplicare le organizzazioni armate in gioco, proprio come è avvenuto in Siria.
Che la situazione sia seria lo conferma l’esodo nelle ultime settimane delle delegazioni diplomatiche occidentali, tutte ripatriate per motivi di sicurezza.
Il vero pericolo è che lo Yemen segua il triste destino della Siria senza che nessuno sia in grado di impedirlo, esattamente come è avvenuto in Siria. Le conseguenze sarebbero disastrose per la stabilità dell’intera regione dove i focolai di guerra civile sono già molti e dove lo Stato Islamico si presenta come la migliore soluzione politica per i sunniti. Da una parte l’intensificarsi degli scontri rafforzerebbe al Qaeda nella penisola arabica, che ha già una forte presenza nelle zone più remote del paese, e dall’altra metterebbe a rischio i 4 milioni di barili di petrolio che giornalmente vengono traspostati nello stretto Bab al-Mandab, tra lo Yemen e la Somalia. La chiusura dello stretto avrebbe un impatto negativo su tutto il commercio internazionale che vi transita.
Scenari apocalittici dunque anche nello Yemen che confermano la necessità di risolvere le tensioni etniche e religiose nella regione, ma che soprattutto mettono in guardia contro le moderne guerre per procura, uno dei lati più oscuri della globalizzazione.