Sono il fenomeno più energetico mai osservato nell’universo. Esplosioni violente, della durata di pochi millisecondi o alcuni minuti, che possono spazzare il cosmo per miliardi di anni luce, cancellando qualunque forma di vita incontrano lungo il loro cammino. Gli astrofisici li chiamano “Lampi di raggi gamma” (Gamma-ray burst) e li associano in genere alla materia risucchiata da un buco nero. Ma il modo in cui si generano, soprattutto quelli di durata più breve, inferiore a due secondi, è ancora avvolto nel mistero.
Adesso, una ricerca congiunta dell’Università di Trento e del Max Planck Institute for Gravitational Physics, appena pubblicata su The Astrophysical Journal Letters, prova a far luce su questi spettacolari flash cosmici. “Siamo a caccia di una soluzione per il puzzle degli “short gamma-ray burst”, che – afferma Riccardo Ciolfi, dell’Università di Trento e primo firmatario dello studio – da decenni attrae l’attenzione degli astrofisici”.
Gli scienziati, infatti, li studiano da tempo, ad esempio grazie a telescopi spaziali, come quello della Nasa che porta il nome di Enrico Fermi. Le ragioni di questo interesse sono molteplici. Da un lato, questi intensi bagliori cosmici rappresentano laboratori naturali unici per l’osservazione dell’universo, impossibili da riprodurre sulla Terra. Ma, dall’altro, il loro studio ci riguarda anche molto da vicino. Secondo recenti teorie, infatti, i lampi gamma sarebbero responsabili di una delle cinque estinzioni di massa della storia del nostro Pianeta, avvenuta circa 500 milioni di anni fa. Un’ipotesi che fornirebbe una possibile spiegazione al cosiddetto “Paradosso di Fermi”, il perché, cioè, non siano state ancora osservate forme di vita aliena, nonostante l’universo brulichi di sistemi planetari simili al nostro, come dimostrano le recenti scoperte del telescopio della Nasa Kepler.
Uno degli aspetti meno chiari di questi fenomeni cosmici è l’emissione di raggi X unita ai lampi gamma da parte di stelle giunte alla fine della loro vita, che collassano in buchi neri. “L’emissione di raggi X che segue questi lampi di raggi gamma – spiega Ciolfi – è in apparente contraddizione con gli attuali modelli di riferimento della comunità scientifica. Nel nostro studio abbiamo messo a punto un modello che potrebbe risolvere il problema, permettendo di capire meglio i meccanismi responsabili di questi eventi spettacolari”.
Per farlo, il team di astrofisici italo-tedesco ha utilizzato come riferimento le stelle di neutroni, stadio finale nella vita di astri di grandi dimensioni, dopo la loro esplosione come supernove. Si tratta di oggetti celesti estremamente densi: basti pensare che un solo cuchiaino di materia di una stella di neutroni avrebbe una massa di un miliardo di tonnellate. I ricercatori, in particolare, si sono concentrati sulle stelle che formano sistemi binari, le più comuni. “Quando due stelle di neutroni si trovano legate in un sistema binario – si legge in una nota dell’Università di Trento – orbitano l’una intorno all’altra riducendo gradualmente la loro distanza, fino al punto in cui si scontrano. Questo evento, raro ma cruciale, è responsabile dell’origine degli “short gamma-ray burst”, violentissime esplosioni, pari al rilascio di due milioni di trilioni di trilioni di megatonnellate di tritolo”.
In base ai modelli attuali, questi brevi lampi di radiazione si manifestano quando l’unione di due stelle di neutroni porta a un collasso gravitazionale e alla formazione di un buco nero. “Il disco di materia residua che inizialmente circonda il buco nero – affermano gli studiosi trentini – viene risucchiato in meno di un secondo, e l’elevata energia magnetica e termica dà luogo a un getto di energia e particelle da cui scaturisce la radiazione gamma”. Proprio a questi violenti sbuffi di energia è associata l’emissione di raggi X, che può durare fino a diverse ore. Un tempo molto più lungo di quello che ci si attenderebbe dalla brevissima attività del buco nero appena formatosi. “Nella nostra ricerca – chiarisce Ciolfi – abbiamo considerato la possibilità che l’unione di due stelle di neutroni porti alla temporanea formazione di una stella supermassiva, in grado di resistere al collasso gravitazionale da minuti ad ore prima di dare origine al buco nero. E abbiamo mostrato – aggiunge lo studioso – come la sua continua emissione di energia fino al momento del collasso possa spiegare la radiazione X osservata anche molto tempo dopo il lampo di raggi gamma”.
Un’ipotesi che potrebbe portare nuovi sviluppi in settori di ricerca come quello sulle onde gravitazionali, che continuano a sfuggire all’osservazione diretta. “Finora – sottolinea Ciolfi – si è sempre ritenuto che il picco di segnale in onde gravitazionali, generato dall’incontro di due stelle di neutroni, e il rilascio di raggi gamma fossero eventi quasi contemporanei. Il nostro modello evidenzia, invece, che questi due eventi sono separati dalla vita della stella supermassiva, formatasi prima dell’inevitabile collasso come buco nero. Rivelatori di onde gravitazionali come Virgo, in Italia, e Ligo, negli Usa, che saranno operativi già a partire da quest’anno – conclude l’astrofisico – potranno in futuro avvisare i satelliti gamma e X dell’evento imminente, dando loro la possibilità di seguirlo e catturarne i segreti”.
L’abstract dello studio su The Astrophysical Journal Letters