Gli ultimi mesi del 1966 sono stati per Luigi densi di ansie e paure. Ha anche acquistato una pistola per legittima difesa, che custodisce nel cruscotto della propria automobile. Sa che da quando ha compiuto quel viaggio in Argentina la sua vita è stata stravolta, ma non immagina che avrebbe generato un effetto domino sulla propria esistenza. Infatti nel 1965, Luigi Tenco avrebbe ottenuto favori durante il periodo del servizio militare. In cambio gli sarebbe stato chiesto di consegnare ‘informazioni’ tra reti di eversivi presenti in Italia e Argentina per finalità golpistiche. Ovviamente Tenco non era a conoscenza di tutto ciò, ma la sua partecipazione al viaggio e all’operazione lo avevano reso pericoloso agli occhi di chi l’ha coinvolto.
All’arrivo in albergo il portiere consegna a Tenco la chiave della stanza 219, che è situata nella dependance. La stanza è piuttosto semplice, sul tavolino sono disposti carta, penna e un posacenere, come da lui richiesto. Non appena si appoggia al cuscino cade in un sonno profondo. Si alza con tutta calma e dopo il pranzo si reca al Casinò dove sono appena incominciate le prove, accompagnato dal solito turbinio di pensieri che gli arrovellano il cervello.
La mattina dell’ultimo giorno di vita di Tenco inizia diversamente dal solito. Stavolta è mattiniero, e s’avvia presto verso il Casinò per le prove. Dopo aver cantato si confida con un paio d’amici, Roby Matano e Sergio Endrigo: “Pensate realmente che mi sia servito venire a Sanremo? Potrò arrivare al pubblico?”.
Luigi sa che un’esibizione dal vivo dinanzi a una platea non è il suo forte e ha paura che la sua canzone non venga capita. Inoltre con la sua partner, Dalida, nell’ultimo periodo i rapporti sono un po’ freddi, e anche per questo Luigi non vede l’ora di terminare il festival e tornarsene a Recco. Anche a lei ha confidato le sue paure, le minacce e i tentativi di aggressione subiti. E rimane molto deluso quando lei gli dice di aver rivelato le sue confidenze a qualcuno, nella speranza di aiutarlo.
La sera, va a cena con gli amici Piero Vivarelli, Sergio Modugno e Gianni Ravera, ma non ha per nulla appetito. L’attesa per l’esibizione lo tormenta e la lite con Dalida lo ha innervosito. Così per darsi coraggio beve del vino nonostante sia a stomaco vuoto. Non è però la paura dell’eliminazione a tormentarlo, ma il timore di non essere compreso. Più s’avvicina al palco e più l’ansia lo assale.
A condurre l’edizione del Festival di Sanremo 1967 è Mike Bongiorno che si accorge subito dello stato d’animo del cantautore e prova a strappargli un sorriso, “Dai che sei bravo – gli dice – ti conosco bene. Fai vedere chi sei”. Le luci lo abbagliano, fa fatica a raggiungere il microfono. È intimorito dal pubblico e quando partono le note manca l’attacco. Recupera, ma i ritardi nell’esecuzione si susseguono. Ciao amore ciao è una canzone sofferta e nelle intenzioni di Tenco, deve entrare come una lama in chi la ascolta. Ma la sua esibizione è poco convincente. Qualcuno parlerà di un Tenco “fatto e stravolto”. La canzone raccoglie solo 38 voti dalla giuria popolare su 900, un dato che conferma le paure del povero Luigi. Pensa di organizzare una conferenza stampa l’indomani. L’eliminazione l’ha convinto, non per recriminare contro la commissione del festival, ma per annunciare qualcosa di davvero importante. Qualcosa che lo agita da mesi.
Ma nella notte tra il 26 e il 27 gennaio 1967, succede qualcosa che oggi, a quasi 50 anni di distanza, si può affermare, non fosse stato contemplato. Ufficialmente Luigi Tenco si toglie la vita con un colpo di pistola alla tempia destra nella sua stanza all’Hotel Savoy, ma sono ancora molte le incongruenze, le ombre e i silenzi che permangono attorno a questa morte. Oltre ai particolari che continuano a emergere e che fanno sì che la domanda: “è stato un suicidio o un omicidio?”, sia più che lecita. Quella notte c’è uno strano silenzio intorno alla stanza 219. Il giornalista Sandro Ciotti sta lavorando al pezzo da inviare al giornale, mentre nelle stanze contigue alloggiano Lucio Dalla e Jimmy Fontana. Nessuno però sente lo scoppio del proiettile.
“Quel che è certo è che verrà ricordata come un’inchiesta investigativa condotta in maniera grossolana e confusionaria”, afferma Pasquale Ragone, criminologo e giornalista, che assieme al collega Nicola Guarneri, ha scritto Le ombre del silenzio, la prima grande inchiesta sul caso Tenco, una vicenda che si può ormai annoverare tra i misteri d’Italia. Perché sono molte le ipotesi formulate sulla morte del giovane cantautore. Si è parlato di droga, di debiti e di Marsigliesi (l’organizzazione criminale operante tra Francia e Italia durante la prima metà degli anni 70, ndr). Ma anche di un coinvolgimento del governo italiano. C’è poi chi ha diffuso la voce che Tenco fosse un dirigente del Partito socialista, legando ciò alle ragioni del delitto. Il sospetto è che all’epoca, qualcuno – gente con le mani in pasta nel mondo dello spettacolo e con forti legami con ambienti eversivi di destra – utilizzasse insospettabili artisti per agevolare lo scambio e il trasporto di informazioni da un Paese all’altro, aggirando i controlli con estrema semplicità.
In questo volume, edito da Castelvecchi, per la prima volta vengono pubblicati i documenti concessi dalla Procura di Sanremo riguardo agli esami compiuti sul corpo di Tenco nel 2006, in occasione dell’esumazione della salma, oltre a quelli sull’arma che lo avrebbe ucciso. Dalla riapertura delle indagini è emerso che “sia le tracce sul bossolo repertato, sia le lesioni alla teca cranica, allontanano consistentemente l’ipotesi suicidiaria”. In più, “la frattura alla mastoide destra non esclude un colpo molto forte inferto a Tenco”. La Polizia scientifica nel 1967, muoveva i primi passi e il cadavere non fu neanche svestito, né gli venne fatta l’autopsia. L’inchiesta ufficiale, comunque, stabilì: si è trattato di suicidio. E si concluse con un decreto di archiviazione che non lascia dubbi: nella notte tra il 26 e il 27 gennaio 1967, il cantautore Luigi Tenco si tolse la vita con un colpo di pistola alla tempia destra nella stanza 219 dell’Hotel Savoy.