Camera

Dimissioni di massa dal Parlamento, ecco perchè non funzionerebbero

Dopo il pasticcio delle riforme costituzionali, Beppe Grillo ha lanciato l'appello. Per sciogliere le Camere e far cadere il governo Renzi. Ma l'operazione non è facile. Lo spiegano due deputati espertissimi di regolamenti

Dimissioni in massa, e subito. E’ l’ultimo appello di Beppe Grillo ai parlamentari del Movimento 5 Stelle (M5S): lasciare lo scranno in cui siedono a Palazzo Madama e a Montecitorio. Un post comparso nei giorni scorsi sul blog del leader  invoca lo scioglimento del Parlamento perché scaturito da una legge incostituzionale, auspica “nuove elezioni entro primavera” ed estende l’appello a tutte le forze politiche. Basta, insomma, con questa legislatura che ha ormai preso “una deriva autoritaria”. È necessario un cambio di passo, dopo il pasticcio della scorsa settimana sulle riforme costituzionali, per fare cadere il governo Renzi. Un cambio di passo che, secondo la versione di Grillo, passerebbe proprio per le dimissioni in massa, anzitutto dei parlamentari pentastellati. Scenario immaginabile? Di più: cosa succederebbe se il gruppo del M5s formalizzasse le dimissioni?

Secondo il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti, conoscitore dei regolamenti parlamentari, “dal punto di vista formale le dimissioni in massa non avrebbero un grande effetto”. Un particolare sfugge a Beppe Grillo e al gruppo parlamentare del M5s, secondo l’esponente Pd. Quale?  “Mettiamo che gli oltre cento parlamentari grillini presentino le dimissioni a Montecitorio”, spiega Giachetti a  ilfattoquotidiano.it: “Queste dovranno essere accolte dall’Aula, ma la cosa non è per niente scontata”. Cosa succederebbe infatti a quel punto?

“La storia insegna”, spiega Pino Pisicchio, capo del gruppo Misto a Montecitorio, espertissimo anche lui di regolamenti, “che il primo gesto dell’Aula è la reiezione, ovvero le dimissioni vengono sempre respinte in prima battuta”. Ma se anche l’emiciclo accogliesse la decisione dei parlamentari del M5s lo scenario non muterebbe. Anzi. “A quel punto – continua Giachetti – la parola passerebbe alla Giunta per le elezioni che dovrebbe prima prenderne atto e, in uno step successivo, procedere con i subentri”. Subentri che continuerebbero fino a esaurimento delle liste elettorali delle politiche del 2013.  Ma, ecco il punto, con una incognita di non poco conto, perchè la catena delle dimissioni potrebbe inevitabilmente interrompersi, per scelte politiche di grande motivazione connesse al dissenso sempre più largo nel movimento o per semplice attaccamento alla poltrona:  “Anche per questo”, sostiene  Pisicchio, “la questione mi sembra bislacca”. Per cui, conclude Giachetti, “questa idea  può avere un valore solo se la maggioranza dei 630 parlamentari si dimettesse“. Ma neppure in questo caso il risultato sarebbe scontato:  “Quanti infatti tra i subentranti”, chiede ironicamente Giachetti, “presenterebbero la richiesta di dimissioni?”.