La Repubblica popolare è particolarmente preoccupata che gli uiguri che partecipano alle esercitazioni militari organizzate dai fondamentalisti possano poi tornare in patria ed importare terrore e metodi di guerriglia. Secondo il governo sarebbero almeno cento (ma alcuni parlano già di diverse centinaia) i cittadini cinesi arruolati nelle fila dello Stato islamico
Quattro uomini sospettati di aver preso parte all’attacco terroristico dell’anno scorso alla stazione ferroviaria di Kunming (il cosiddetto 11 settembre cinese) sono stati arrestati in Indonesia. Secondo il Jakarta Post, cinesi e indonesiani – che cooperano nelle operazioni antiterroristiche – erano sulle tracce di nove uomini. Di questi, quattro sarebbero appunto stati arrestati, tre si sarebbero nascosti nella giungla e i rimanenti due sarebbero riusciti a scappare in Malesia. I quattro nelle mani della polizia avrebbero prima confessato di essere cinesi della regione occidentale e a maggioranza musulmana dello Xinjiang, poi di essere turchi. Se la provenienza cinese venisse accertata, i sospetti verrebbero immediatamente estradati in Cina in virtù di un accordo tra i due paesi firmato già nel 2009.
Secondo i media cinesi, nell’ultimo anno oltre 800 persone sono state fermate perché volevano passare illegalmente il confine tra Cina e Vietnam. La maggior parte di essi apparterebbe all’etnia uigura dello Xinjiang. Episodi di violenza, terrorismo e repressione si stanno intensificando nella regione. Negli ultimi due anni almeno 400 persone sono rimaste vittime degli scontri tra polizia, han e uiguri. Come il resto del mondo, la Repubblica popolare è particolarmente preoccupata che gli uiguri che partecipano alle esercitazioni militari organizzate dai fondamentalisti possano poi tornare in patria ed importare terrore e metodi di guerriglia. Secondo il governo sarebbero almeno cento (ma alcuni parlano già di diverse centinaia) i cittadini cinesi arruolati nelle fila dello Stato islamico.
Nel 2013 sulla rete cinese è comparso un video in cui il combattente Bo Kang, vestito con una tuta militare e armato di kalashnikov, raccontava in cinese la sua storia. Diceva di essersi convertito all’Islam e di aver combattuto durante la rivoluzione libica. Invitava tutti i musulmani cinesi a raggiungerlo in Siria. A luglio, il califfo dello Stato islamico Abu Bakr Al-Baghdadi ha richiamato i musulmani di tutto il mondo a partecipare alla causa sottolineando che “i diritti dei musulmani sono negati in Cina, in India e in Palestina”. A settembre le foto di un tumefatto combattente cinese arruolato nell’Isis sono comparse su una pagina che fa capo al ministero della difesa irachena. Il quotidiano di Stato Global Times, cita una “fonte famigliare con le operazioni antiterroristiche cinesi” per asserire che il poco controllo che molti dei paesi del Sudest asiatico esercitano sul rilascio di visti e passaporti facilita gli estremisti a recarsi in Turchia per poi passare il confine siriano e unirsi alle fila dei combattenti dello Stato islamico.
A gennaio la polizia cinese ha fermato dieci turchi accusandoli di fornire falsi passaporti per aiutare nove uiguri a lasciare il paese. Questi ultimi avrebbero pagato più di 8mila euro per andare in Siria, Afghanistan e Pakistan. Non era la prima volta che si aveva notizia di uiguri, la cui lingua è molto simile al turco moderno, che viaggiavano illegalmente sotto identità turca. Pretendevano di essere turchi molti dei 200 richiedenti asilo uiguri in Thailandia, i 155 sgomberati da un piccolo appartamento in Malesia e altri quattro in Indonesia accusati di voler raggiungere un contatto con l’Isis. Inoltre, negli ultimi sei mesi, l’Isis avrebbe giustiziato tre cittadini cinesi che tentavano di disertare. La notizia è rimbalzata la settimana scorsa sui media cinesi che citavano un non meglio identificato funzionario curdo. Secondo la fonte, uno di loro avrebbe tentato di tornare in Turchia per iscriversi all’università perché “deluso dalla realtà dello Stato islamico”. Oggi va ingrossare il totale degli almeno 120 jihadisti giustiziati per diserzione in Siria e in Iraq.
di Cecilia Attanasio Ghezzi