L’altra metà del cielo derubricata ad un quarto di tettoia. Si potrebbe descrivere così, a beneficio di brutale sintesi, l’evanescenza del ceto politico dirigente femminile, alle latitudini del Pd. Della rivoluzione molecolare che l’avvento, nel Palazzo, delle “Quotatissime rosa-shocking “avrebbe dovuto incoraggiare, non v’è indizio. Così come non si rinviene traccia degli effetti salvifici del vitaminizzante giovanilismo che si stima essere stato solo un vecchio arnese della propaganda fascista. “Giovinezza, primavera di bellezza”, infatti, non è riconducibile alla discografia dei Take That. Semmai alla partitura musicale delle Camicie Nere. Ma questa è un’altra storia.
Chi scrive non ha mai nutrito soverchio entusiasmo per la mistica dell’appartenenza di genere quale criterio di selezione delle eccellenze, in politica. Il tratto distintivo biologico, a tal riguardo, è irrilevante. Non è che se produci ovociti, poi diventi, necessariamente, statista.Tantomeno la “dissennata “casualità genetica che decreta la tua connotazione sessuale prefigura, sic et simpliciter, una seppur vaga contiguità con Rosa Luxemburg o Simone de Beauvoir. Ne è prova inoppugnabile il pallore delle iniziative della “nomenklatura” femminile del Pd.
Se Picierno, Serracchiani, Boschi, Madia, Moretti, Mogherini sono l’inedito tanto atteso conviene ripiegare sull’edito muliebre berlusconiano, di certo, più struggente. Ci vuole una botta di vita. Siamo in piena controriforma postmoderna che conserva e perpetua la più ortodossa delle tradizioni antifemministe. Il renzismo, infatti, mima la parodia di vecchi sultanati di provincia. Le ragazze della Leopolda e dintorni brillano per il rancido playback, ricorrente la sera in tv. Non parlano dal vivo, peccato. Il live sarebbe pura eresia. Pubblica ammissione di autonomia. Strappo, per nulla indolore, dalla sceneggiatura preindicata.
Significherebbe negare a Zelig l’ennesimo prestito d’identità mediatica. Si tratta, in definitiva, di replicare il replicante. Del resto pur di accattonare, per conto terzi, la più inutile delle Riforme, le nostre eroine nidificano nell’accondiscendenza sonnolenta.Vivono nel comfort del peggiore stormo. Il gregariato deve sembrare loro un azzardo temerario. Altro che sommossa emancipante di genere. Mai un guizzo, un’uscita in mare aperto, un fiotto di disobbedienza, uno scatto di reni rispetto ai diktat del cartaro.
E’ tutto qui il valore aggiunto delle donne, nell’emisfero della politica? Persino la loro bellezza appare disciplinata. Decisamente non eversiva. Poco inquietante. L’allineamento docile, ad ogni buon conto, premia. O premierà. D’altro canto anche il Vangelo si fonda sul calcolo delle probabilità. Chi ha sete, berrà. Gli ultimi saranno i primi. Etc..Gesù tramutava l’acqua in vino. Conosceva bene il suo pubblico televisivo. A Matteo tocca tramutare Maria Elena in leader. Con conseguente flessione dell’audience. Meglio l’arte del puparo. Non comporta grandi rischi. Chi crea, al contrario, incorre in incidenti di percorso. Lo stesso Geppetto osò cesellare l’unico burattino anarchico e tendenzialmente parricida della letteratura mondiale. Le ancelle postmoderne, prodotte in “vitro Etrurio “, vivono, al contrario, di ansia tutorale. Amano l’ormeggio. Temono l’orfananza. Il ricovero sicuro in porto patriarcale non espone alle intemperie del cielo la sua metà o presunta tale per eccesso. A proposito della magnifica inutilità femminile eccedente nel Pd, si fa strada la tentazione misogina, politicamente scorrettissima, beninteso, di citare Karl Kraus :”Amo la dispersione dell’insipienza, non è giusto che si concentri in un un unico luogo”.