Ogni anno, in questo periodo, a Rio il delirio del Carnevale. Ne ho già scritto abbondantemente e molte cose potrebbero essere ripetute con il copia incolla. Se nonché il Carnevale a Rio è qualcosa di così immenso e articolato che nemmeno i carioca sanno tutto al riguardo. A Rio il Carnevale è ancora di più di una festa stratosferica, è quasi una religione. Senza dubbio si tratta di una filosofia di vita. Un’amica, sambista veterana della favela Vidigal, l’altro giorno mi ha confessato: “Se non ballo o non canto, piango”.
Ma esistono molti carnevali, tutti facenti parte della stessa matrice, coacervo di culture europee e africane soprattutto, ma anche indigene. Sotto gli occhi di tutti, a livello internazionale, è evidente il Carnevale della grandi scuole di samba, quelle di serie A, che sfilano nel Sambodromo sotto i riflettori e i media. Anche queste scuole, più o meno famose e ricche di sponsor e finanziamenti, hanno un lato nascosto. Come per esempio quello dei volontari che lavorano tutto l’anno a confezionare fantasie e ad allestire carri allegorici, magari in cambio della fantasia gratis per sfilare. Le fantasie possono arrivare a costare duemila euro e oltre. Esiste poi un “dietro le quinte” ricchissimo di tradizioni ed emozioni, che coinvolge per lo più la gente delle favelas e grandi artisti, ma oggi anche sponsor, aziende, istituzioni, media e narcotrafficanti in una rete di relazioni piuttosto complessa.
Ma la città è invasa anche da un altro carnevale, quello dei “blocos” e delle scuole di samba minori o anche molto piccole. Si tratta di un carnevale ancora più autentico, ricco di poesia e tradizioni. Solo a Rio si trovano circa 450 blocos ufficiali, più tutti gli altri minori. I blocos sono assembramenti talvolta spontanei, ma più spesso organizzati, di batteria, cantanti, musicisti, danzatori, gente comune, che si trova nelle spiagge e per le strade a festeggiare la felicità e l’allegria, ma anche per esorcizzare demoni e zone d’ombra. Mentre le scuole di samba minori nascono e crescono in favelas relativamente piccole che intendono far sentire la propria voce. Qui le fantasie, seppur bellissime, sono meno sontuose e i carri più poveri, ma l’energia, la fede, la determinazione, sono le stesse, se non addirittura superiori.
Ci sono pochissimi soldi, ma il gusto di sfilare, anziché nel Sambodromo, per le strade, magari di quartieri malfamati della periferia è irresistibile. Vedere la sfilata è sempre un divertimento, specie per chi ama, consciamente o inconsciamente, le atmosfere felliniane. Ma per chi sfila si tratta di una vera e propria catarsi psichica e sociale. È un delirio. Per alcune decine di minuti, a volte oltre un’ora, poveri, ricchi, gente comune di ogni tipo, sono protagonisti insieme, e vanno a mettere in scena i propri demoni e le proprie zone d’ombra. In questi giorni a noi è capitato di farlo con la Scuola di samba della piccola Comunità di Vidigal, che si trova nella zona sud di Rio.
La sfilata ha avuto luogo per la strada di uno dei più malfamati quartieri periferici della zona nord di Rio: Bonsucesso. Chi non ha provato l’esperienza difficilmente può capire cosa si provi. Si tratta, questo è chiaro, di un attimo, di un divertimento effimero, che però lascia il segno. Ma il carnevale non è solo a Rio, bensì in tutto il Brasile, dove assume forme particolari generate dai diversi contesti sociali. Ma dappertutto sembra essere un rito collettivo catartico e rigenerante che attrae dall’universo l’energia necessaria per sopravvivere nel migliore dei modi il resto dell’anno a lottare contro i propri demoni, siano essi la difficile vita delle favelas o beghe familiari di chiunque. Anche chi non fa parte della comunità che ha organizzato l’evento, se partecipa, vi entrerà a pieno titolo, con tutte le implicazioni emotive e sentimentali connesse. Non si sfila solo per mostrarsi e dare nutrimento al proprio ego, ma anche, e soprattutto, per dare risalto al noi, al senso di profonda partecipazione a una comunità che, nella quasi totalità dei casi (anche per le scuole di samba di serie A), è povera.
Parte del Carnevale è proprio questo: partecipazione e solidarietà. Sono numerosi gli aspetti intriganti, curiosi, artistici, sociali, a volte misteriosi, di questa gigantesca festa, ho già avuto modo di parlarne in altre occasioni e lo farò ancora. Ma trovo sia tutto sommato preponderante il profondo senso di unione di chi partecipa, soprattutto come parte attiva, suonando, cantando, ballando o anche solo sfilando, a questa gigantesca kermesse, nient’altro in fondo, che una metafora o un’allegoria della sorprendente parata della vita.
La foto di apertura è di Lidia Urani, Le bahiane a terra