Mentre la macchina organizzativa per Roma 2024 è in piena attività, nella città del Massachusetts è nato un comitato ad hoc per impedirne la candidatura: "Sarebbe uno spreco - dicono i promotori al fatto.it - Quei miliardi siano utilizzati per crisi abitativa, deficit della scuola pubblica e trasporti". E si valuta un referendum per dire no ai giochi
Il comitato promotore ha trovato il suo presidente (Luca Cordero di Montezemolo), i primi incontri sono già partiti: la macchina per Roma 2024 è al lavoro da settimane, da quando il premier Matteo Renzi ha ufficializzato la candidatura. Ma dall’altra parte del mondo c’è chi ai Giochi guarda con un misto fra timore, disinteresse e ostilità. E si tratta proprio dell’unica sfidante formale, al momento, per la capitale italiana (Parigi ha cominciato a muoversi ma manca ancora l’ufficialità). Lo scorso gennaio il governo americano ha scelto Boston come rappresentante degli Usa nella corsa alle Olimpiadi. Ma nella città del Massachusetts, preferita a sorpresa a Washington, San Francisco e Los Angeles, c’è una forte resistenza alla candidatura. “Siamo in tanti a pensare che i Giochi non siano ciò di cui abbiamo bisogno”, spiega a ilfattoquotidiano.it Aairon Leibowitz, portavoce del comitato No Boston Olympics che guida la protesta. “Faremo di tutto perché la candidatura non vada avanti senza l’approvazione della cittadinanza, potremmo indire anche un referendum”.
No Boston Olympics è un’associazione di bostoniani costituita un anno fa per dire no ai Giochi. L’idea è venuta a tre cittadini che oggi sono co-presidenti (Chris Dempsey, Kelley Gossett, and Liam Kerr) e col passare del tempo l’organizzazione ha raccolto centinaia di adesioni. Un gruppo di esperti ha lavorato ad uno studio che certifica quelli che sarebbero i costi esorbitanti dell’evento, pari a circa 14 miliardi di dollari. Una cifra non lontana da quella stimata in Italia dal Comitato per Roma 2020, e che ora il Coni vorrebbe ridurre notevolmente. “Ma fare dei Giochi low-cost che abbiano un effetto benefico sull’economia è possibile solo in teoria”, afferma Leibowitz. “La riforma del Cio va in questa direzione, ma abbiamo visto che dal 1960 ad oggi il budget di spesa è sempre stato sforato. Noi preferiamo non correre questo rischio. I Giochi ci piacciono e li guarderemo in tv, ma che li organizzi pure qualcun altro”.
Forse anche per questo gli attivisti bostoniani preferiscono non esprimere alcun giudizio sulla candidatura italiana: a loro andrebbe benissimo che Renzi e Malagò vincessero la scommessa olimpica. “Siamo strettamente concentrati su cosa è meglio per Boston”. Ovvero investimenti d’altro tipo: “Abbiamo molti problemi: la crisi abitativa, il deficit della scuola pubblica e del sistema di trasporto. Quei miliardi vanno spesi per migliorare la qualità della vita dei cittadini, mentre ospitare un evento planetario del genere sarebbe solo uno spreco di risorse ed energie”. Né il fascino olimpico sortisce alcun effetto sui membri del comitato: “Nessuno nega l’importanza ed il prestigio dei Giochi, ma Boston è già una grande città e non ha bisogno di dimostrare niente a nessuno”.
L’organizzazione farà di tutto per assicurarsi che a Boston non si verifichi il disastro economico che è andato in scena ad Atene dopo l’edizione del 2004. L’obiettivo, in questo momento, è inserire una clausola per evitare il finanziamento pubblico della manifestazione: “Noi siamo contrari all’organizzazione in assoluto. Ma se i Giochi dovessero alla fine essere assegnati a Boston, almeno vogliamo essere sicuri che non vengano sprecati soldi dei cittadini”. Si valuta anche la possibilità di un referendum, strada seguita nel recente passato da altre città. “Ne stiamo parlando, lo hanno proposto anche diversi politici e noi siamo pienamente d’accordo. La cittadinanza fin qui è stata inascoltata e ha il diritto di esprimersi su una questione che interesserà la sua vita da vicino”. Se il parere fosse negativo, però, Boston e gli Stati Uniti sarebbero fuori gioco. Una buona notizia per l’Italia, almeno per chi tifa per Roma 2024.