Qualcosa d’analogo si sta verificando nel piccolo laboratorio ligure in vista delle elezioni. Ieri il Consiglio Regionale ha varato la norma che autorizza i medici primari a svolgere attività privata a pagamento. Una botta tremenda all’idea stessa di sanità pubblica, abolendo il vincolo dell’esclusiva che si ritorce a danno della cittadinanza. Fa riflettere che la disposizione venga varata nell’ultimo scorcio di legislatura; e che a promuoverla siano fedelissimi della candidata governatrice Raffaella Paita, con l’appoggio entusiastico di FI e Ncd e – ovviamente – di Claudio Burlando, l’attuale presidente ormai al guinzaglio dell’inarrestabile ‘amazzone’ venuta da La Spezia. Insomma, visto che il provvedimento privilegia a malapena un centinaio di baroni, quello che conta è il messaggio indotto: “privilegiati (o più spesso auto-presunti tali) state tranquilli. Qui c’è chi vi pensa con occhio di riguardo”.
Il solito blairismo tracotante e furbesco che – nel caso italiano – parte dal presupposto che gli svillaneggiati migreranno tutti nel non voto rendendosi insignificanti. Tanto gli organigrammi pubblici si stilano sulle percentuali dei suffragi espressi; sicché diventano decisive le minoranze degli abbienti e di chi può temere qualcosa da politiche distributive democratiche.
Questo è quanto. Sempre la stessa ruota dentata che da almeno quattro decenni macina umanità, occultandosi tra i fumi della comunicazione illusionistica (nel caso ligure la meritocrazia, in quello nazionale la ripresa economica, in entrambi lo specchietto per le allodole di un’indefinita modernizzazione riformistica).
Ma perché questi maghi delle tre carte in carriera politica continuano a farla franca?
Già domenica sostenevo la tesi, per taluni urticante, che sono gli altri a renderglielo possibile. Come dimostra il circoscritto (quindi facilmente esaminabile) caso ligure, dove i marpioni si sono conquistati la preminenza favorendo sistematiche collusioni. Per cui gli eletti su posizioni definibili “altrapolitica” si facevano rapidamente cooptare. O – magari – ancora prima. E anche ora.
Prendiamo ad esempio l’attuale compagine regionale: l’assessore Enrico Vesco che proviene dai Comunisti Italiani e il collega vendoliano Matteo Rossi sono già nella squadra paitiana, dopo essere stati strapuntini burlandiani. E già si sentono boatos di transumanze silenziose verso il carro della signora dal fronte dei suoi oppositori duri e puri. Inoltre il contagio della politica politicante si percepisce anche dalle parti pentastellari, dove chi si riprometteva di uscire (in quanto consapevole di essere finito sulla lista nera dello staff per aver proposto il superamento dell’isolazionismo suicida) si è rimesso in campana in attesa di tempi migliori.
Sicché il sottoscritto ha finito per scontrarsi negli scorsi giorni con i fautori di posizioni unitarie a Sinistra. Che consentiranno ai proponenti di ascendere al paradiso del politicamente corretto (anche se si sono macchiati l’anima assicurando di avere in tasca l’uomo della provvidenza che non avevano. Che era evidente non ci fosse).
Un ecumenismo che gratifica gli aspiranti federatori ma che ha il grande torto di mimetizzare biografie trasformistiche, pronte a ripetersi ancora una volta; nel crogiuolo di altre vanità e opportunismi. Resto dell’avviso che sarebbe meglio la chiarezza: sbarazzarsi delle zavorre con un’iniziativa di lista realmente nuova e pulita. Coraggiosa. Visto che la fortuna arride agli audaci e – comunque – quale seme piantato per futuri migliori.