Le testimonianze raccolte da Il Sole 24 Ore attestano che era prassi la richiesta di diventare soci in cambio di un finanziamento. Il tutto senza alcun documento scritto, per non lasciare tracce. Anche in questo modo l'istituto gonfiava artificialmente il proprio capitale
Azioni in cambio di credito. Funzionava così in Veneto Banca, le cui prassi operative – sfociate in una forte sopravvalutazione del patrimonio di vigilanza del gruppo – sono finite al centro di un’inchiesta della procura di Roma. Secondo quanto riporta Il Sole 24 Ore, citando le testimonianze di ex clienti e di un dipendente dell’istituto. Quest’ultimo riferisce di aver assistito alla concessione di un finanziamento a un’azienda che “contestualmente” sottoscrisse “molte azioni di Veneto Banca”. Mentre un’ex dipendente conferma: “Ai clienti proponevamo di acquistare azioni per sbloccare le loro pratiche di fido”. E un altro sostiene che lo stesso accadeva per l’erogazione di mutui alle condizioni agevolate riservate ai soci: “Bisogna essere già azionista, ma se non lo sei non è un problema: la banca ti lascia andare in rosso sul conto corrente per comprare azioni e poi ti eroga il mutuo”. Ad attestare il meccanismo è anche il responsabile area di un altro gruppo bancario, che al Sole racconta: “Mi è capitato il caso di un cliente che è venuto da noi dopo avere avuto la proposta di fido in cambio di azioni da parte di Veneto Banca”. Stessa ricostruzione da parte di un commercialista: “Veneto Banca vende azioni proprie in cambio di finanziamenti”.
Il tutto avveniva nell’ambito di una sorta di gentlemen’s agreement, senza alcun accordo scritto. Per evitare di lasciare traccia di quello che, stando alle voci raccolte dal quotidiano di Confindustria, era un modus operandi molto diffuso. Finalizzato anche questo, è l’ipotesi del procuratore aggiunto Nello Rossi e del pm Francesca Loy, a gonfiare artificialmente il capitale dell’istituto all’epoca guidato dal presidente Flavio Trinca e dall’amministratore delegato Vincenzo Consoli, indagati per ostacolo alla vigilanza. Le azioni vendute ai clienti, infatti, venivano emesse ad hoc.
Queste testimonianze, naturalmente, dovranno ora trovare riscontro nei risultati dell’inchiesta. Quel che è certo è che il gruppo, arrivato a contare oltre 6.200 dipendenti e 587 sportelli dopo aver incorporato Banca Italo-Romena e BancApulia e aver aperto filiali in Albania, Croazia, Moldavia, ha comunicato a Bankitalia di poter contare su un patrimonio di oltre 2 miliardi di euro contro gli 1,66 effettivi. Con la conseguenza che ora gli azionisti si trovano in mano titoli che valgono molto meno di quanto dichiarato dall’istituto.