Così parlava Pangloss, il docente di “metafisica-teologo-cosmoscemologia” creato dalla mirabile penna di Francois-Marie Arouet, al secolo Voltaire, nel suo celeberrimo ‘Candido – ovvero l’ottimismo’. Pangloss era dotato di una granitica fiducia nell’umanità e nella storia da cui nasceva un altrettanto tetragono ottimismo e aveva come principale obiettivo didattico e di vita quello di dimostrare che questo è “il migliore dei mondi possibili”.
Lo stesso ottimismo che, probabilmente, allevia e allieta la vita dell’anonimo ideatore del benemerito emendamento che ha introdotto il secondo comma dell’art. 452 octies nel disegno di legge (ddl) sui delitti contro l’ambiente.
In base a questa norma, coniata appena pochi giorni fa in sede di esame del ddl nelle Commissioni riunite Ambiente e Giustizia del Senato, per i delitti di inquinamento e disastro ambientale colposi “la punibilità è esclusa nei confronti di colui che, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi”. È il cosiddetto “ravvedimento operoso”.
È evidente che chi ha pensato a un istituto del genere deve avere un’idea quantomeno panglossiana, per l’appunto, della natura dell’inquinatore medio “colposo” in questo paese.
Deve, cioè, anzitutto ritenere che l’inquinamento o addirittura il disastro ambientale causati da costui siano sempre e soltanto il frutto di una sorta di peccato veniale; ossia che, al massimo, vi sia sciatteria nella sua condotta, senza che si raggiunga mai da parte di costui una forma di “coscienza” o “previsione” delle conseguenze sull’ambiente (e, quindi, sulla salute pubblica) di quel suo comportamento strafottente.
Giacché in quest’ultimo caso la colpa diventerebbe qualificata, aggravata dalla “coscienza o previsione” dell’evento.
E la colpa “cosciente” è parente stretta del dolo eventuale; che sempre dolo è.
Ancora, il creatore della norma in esame deve chiaramente coltivare un approccio incondizionatamente fiduciario nelle capacità di autoemenda del normale causatore di disastri ambientali “colposi”, dacché è arrivato alla confortante conclusione che la realizzazione da parte di costui di una condotta “riparatoria” rispetto ai danni, più o meno immani, provocati significhi un’autorieducazione morale e sociale profonda e genuina; tanto da rendere a carico di costui del tutto inutile qualsiasi forma di pena.
Infine, questo illuministico legislatore deve nutrire altresì una stima totale e refrattaria a ogni prova contraria nei confronti del rigore e dell’affidabilità degli organi di controllo, a vari livelli, di questo paese; quelli che dovrebbero verificare l’effettiva e completa realizzazione “della messa in sicurezza, della bonifica e, ove possibile, del ripristino” dei luoghi contaminati o addirittura disastrati dall’inquinatore penitente di turno.
L’ottimismo è senza dubbio il profumo della vita, per riprendere quell’acuto aforisma che ha consolato per anni pletore di teledisperati cui la vita aveva donato ben scarsi e discutibili profumi.
Il rischio, però, è che, distribuendo a pioggia quell’ottimismo, unitamente ad una dose altrettanto abnorme di fiducia, nei confronti di soggetti che hanno dimostrato un rapporto con l’ambiente che li circonda e, quindi, con i loro simili quantomeno “poco sensibile”, il profumo che continueranno ad emanare molti territori di questo paese non sarà precisamente Chanel n. 5.
Con la conseguenza che, in molti casi, anche ai più ottimisti, legislatori o meno che siano, non sarà neanche più possibile, materialmente, far propria la conclusione di Candido: “andiamo a coltivare il nostro orto.”