Nel corso di una puntata di Invasioni Barbariche la ministra Marianna Madia, invitata e intervistata da Daria Bignardi, non ha mancato di prodursi nella solita esaltazione della maternità. D’altronde lei e il suo pancione, fin dalla nomina a ministro, sono stati il manifesto della gioia materna e dell’amore per la famiglia tradizionale espresso a più riprese, poi, dal governo Renzi.
Quel che però mi preme rilevare, oltre a fare una azzardata analogia con altri tempi durante i quali le donne venivano valorizzate solo per la propria capacità riproduttiva, è la sponsorizzazione di una cultura che definisce il ruolo che le donne dovranno interpretare. Possono essere madri, madri e, ancora, madri. Per di più felici.
Sarà uno shock per la ministra, per l’intero governo, o per molte donne che si sono bevute questa favoletta, ma in tante rifiutano di veder confuso il termine donna con l’altro che la identifica solo in quanto madre. Cara ministra, non è affatto vero che una donna si realizza solo nella maternità, anzi, ci sono donne che non si realizzano affatto con la maternità.
Esistono donne alle quali la maternità sta stretta, oppure donne che diventano madri ma sono pentite di aver avuto un figlio, e vengono lasciate sole, con questo disagio enorme da gestire, perché è perfino inibita loro l’opportunità di manifestare la propria sofferenza. Ci sono donne che vogliono realizzarsi nel lavoro, sempre che ci sia un lavoro lì ad attenderle. Donne che bastano a se stesse, che non hanno la sindrome della madre mancata, ché lavorano, tantissimo, e nonostante tutto restano precarie e non pensano proprio, neanche lontanamente, a fare un figlio.
Ci sono donne che non hanno affatto né la predisposizione alla cura e neppure l’istinto materno, e non per questo sono anormali, sbagliate, mostri. Molte donne soffrono del fatto che sulla loro pelle viene ricucito uno stereotipo dopo l’altro. Stereotipi sessisti attaccati sulla pelle a partire da chi afferma che la perdita del desiderio di maternità dipenderebbe dal fatto che le bambine non giocano più con le bambole.
Così ritorna in auge l’idea dell’educazione separata per sessi. Le bambine con le bambole, anche se poi passano la metà del tempo a impiccarle, tingerle, annegarle, a strappare loro gli arti plastificati, e i bambini a giocare con le vanghe da portare in miniera o con i fucili da portare in guerra. Questo era il modello di educazione che pianificava i ruoli di donne e uomini fino a pochi decenni fa. Così poi, dopo che bambine e bambini erano stati sottoposti ad un continuo lavaggio del cervello, si tirava fuori la malsana teoria che parla di differenze “naturali” per genere. Le bambine diventeranno madri perché sono nate per questo e i bambini distruggeranno, uccideranno, andranno in guerra perché è questa la loro indole.
Sarebbe il momento di rimettere in discussione questi stereotipi sessisti e di parlare di uomini e donne senza pregiudizio alcuno. Se non vuoi essere madre, non osare sentirti sbagliata. Non sentirti giudicata, e a chi ti dice che dovrai partorire per forza, anche se non lo vuoi, rispondi con una pernacchia e poi esigi il diritto alla contraccezione, inclusa quella d’emergenza, e all’aborto. Tu sei una donna anche se non partorisci. Sei una donna anche se non sei nata biologicamente tale. Perciò di che stiamo parlando?
Parliamo soltanto di un pezzo di società che vorrebbe continuare a trascinarci indietro nel tempo, tenendo ancorate le nostre aspirazioni, rendendoci depositarie di aspettative sociali che ci rendono, a volte, semplicemente frustrate, donne chiuse in gabbie sociali con secondin* che stanno sempre lì ad attirarci al chiuso.
Diventa madre se vuoi essere madre. Diventa un’astronauta, un ingegnere, un’informatica, una professoressa, una scrittrice, una pornostar, una saldatrice, una scalatrice, una attrice, se vuoi essere tale. Diventa ciò che vuoi e non accettare mai e poi mai che qualcuno ti faccia sentire in colpa perché hai deciso di fare altro rispetto a quel che volevano importi.