Il documento che pubblichiamo qui è un reperto d’epoca.

verro

O meglio, lo sarebbe se quell’epoca fosse archiviata. Invece è anche un referto della politica e della sottostante televisione di oggi, anche se l’uscita di B. dal Parlamento e dal governo ha regalato ai tartufi l’alibi perfetto per ignorare il più mostruoso conflitto d’interessi dell’Occidente.

Siamo nell’agosto del 2010 e da due anni Silvio B. e i suoi cari, tornati a Palazzo Chigi e dunque al vertice Rai, le provano tutte per rinverdire i fasti dell’editto bulgaro del 2002: cioè per chiudere Annozero di Michele Santoro su Rai 2 e normalizzare i programmi sgraditi di Rai 3 (Report, Ballarò, Parla con me, Che tempo che fa ecc.). Quel che è accaduto nella stagione precedente i nostri lettori lo sanno bene, grazie alle telefonate del Dg forzista della Rai Mauro Masi e del membro forzista dell’Agcom Giancarlo Innocenzi, intercettate dalla Procura di Trani (e pubblicate dal Fatto) tra il 2009 e il 2010. Masi ce l’ha messa tutta, ma non è riuscito a trovare appigli giuridici per “chiudere tutto”, come ordinava B., nonostante il prodigarsi di premurosi consiglieri del Principe, tipo il magistrato Cosimo Ferri (ora sottosegretario alla Giustizia del governo Renzi). Ma ora, all’inizio della stagione 2010-2011, ci pensa Antonio Verro.

La sua biografia è l’apoteosi del conflitto d’interessi: palermitano, amico di gioventù di Marcello Dell’Utri, dirigente Edilnord, assessore comunale milanese al Demanio per Fi, quattro volte parlamentare con B., due volte membro del Cda Rai. Forte di questo po’ po’ di bagaglio, Verro scrive un memorandum di otto schede all’“On. Pres. Silvio Berlusconi” e lo spedisce via fax alla sua residenza privata di Arcore, preceduto da una succulenta nota di accompagnamento. Succulenta non solo per il contenuto, ma anche per il linguaggio che ricorda un altro memorandum: quello dello spione Pio Pompa su come “disarticolare anche con azioni traumatiche” l’opposizione politica, giornalistica e giudiziaria a B. Le otto schede – spiega il Verro – corrispondono alle “trasmissioni che più mi preoccupano” in quanto “fortemente connotate da teoremi pregiudizialmente antigovernativi”. Ora, il Cda Rai non ha alcun potere d’intervento sui contenuti dei programmi, che sono responsabilità esclusiva del Dg e dei direttori di rete. E il commissario politico Verro lo sa bene (“il Consiglio non può fare decisiva interdizione”). Ma assicura al Capo di aver fatto il possibile per aggirare la legge (“nonostante i nostri vari tentativi, penso non ci sia più niente da fare”).

E– non si sa se per conto del governo, del premier, di Forza Italia o del gruppo Fininvest – non si dà per vinto. Infatti propone un “rimedio” alla patologia della legalità: “Mettere paletti relativi a composizione del pubblico, strettoie organizzative e scelta di ospiti politici (e non) tramite i Direttori di rete”. Sì, avete capito bene: un consigliere Rai chiede al presidente del Consiglio, che è pure proprietario di Mediaset, il via libera per imbottire i programmi sgraditi al governo (o al premier? o a Fi? o a Mediaset?) di claqueur che applaudano o fischino a comando e di ospiti filogovernativi, e addirittura per sabotare i non allineati con “strettoie organizzative”. Siccome poi il nemico pubblico numero uno è Annozero, e il direttore di Rai 2 Massimo Liofredi è di centrodestra, ma troppo affezionato agli ascolti di Santoro che tengono in piedi la rete, “è di fondamentale importanza” rimpiazzarlo “il prima possibile” con la turboberlusconiana Susanna Petruni. A Rai 1 invece, presidiata da Mauro Mazza, non c’è da spostare una foglia. Quanto a Rai 3, diretta da Paolo Ruffini, basterà “un puntuale controllo” di Masi. Chissà che diranno ora i politici e i commentatori “terzisti” che a queste vergogne, denunciate dal Fatto in beata solitudine, sono usi opporre sorrisetti e spallucce. Anzi, chissà se diranno qualcosa. Ma soprattutto: chissà se oggi il consigliere Verro rassegnerà le dimissioni, o se la presidente Anna Maria Tarantola e gli altri consiglieri gliele chiederanno, o se non accadrà nulla. Come sempre, da vent’anni.

il Fatto Quotidiano, 19 febbraio 2015

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