Tempo fa scrissi che in Italia non c’è nulla di più certo della incertezza del diritto.
Eppure la tanto invocata, declamata e abusata locuzione “certezza del diritto” dovrebbe assurgere a sacro principio (per la Treccani è “Principio in base al quale ogni persona deve essere posta in condizione di valutare e prevedere, in base alle norme generali dell’ordinamento, le conseguenze giuridiche della propria condotta, e che costituisce un valore al quale lo Stato deve necessariamente tendere per garantire la libertà dell’individuo e l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge”) in una società civile di un paese moderno. Perché certezza del diritto significa certezza dei diritti, dunque potere di farli valere. Specularmente significa individuare i contorni dei doveri. Come noto diritti e doveri vanno a braccetto.
Diversamente risultano incerti ed eterei gli stessi diritti. Senza diritti non c’è giustizia e di fatto è compromessa la democrazia, che appare un ologramma. Pare ma non è. Come in Italia, dove si sta concentrando ogni potere nel governo, nel premier e in alcuni partiti, marginalizzando e facendo tacere la democrazia parlamentare, raccontando di finte riforme. Ma questa è un’altra storia (purtroppo la nostra).

In tale contesto la giurisprudenza italiana è ben rappresentativa di cosa nutra l’incertezza del diritto. Talmente cangiante da zona geografica a zona, da tribunale a tribunale, da sezione a sezione, da giudice a giudice, da giurisdizione a giurisdizione (Giudice Amministrativo e Giudice Ordinario, che pure mai dovrebbero sovrapporre le proprie competenze, fanno a gara a chi si distingue di più). Un caleidoscopio incomprensibile a volte dagli stessi giuristi più creativi, figuriamoci dai cittadini.

Basti un esempio: potremmo radicare la stessa identica causa in 5 tribunali differenti. Avremmo 5 provvedimenti assai diversi. E’ giustizia quella che espone le sorti di una persona a seconda del luogo e del giudice?
La giurisprudenza può essere definita come l’insieme dei provvedimenti giurisdizionali. Provvedimenti che possono però determinare il destino di una persona.

La giurisprudenza italiana ha un ruolo fondamentale: seppur non vincolante (anche per le pronunce della Cassazione se vogliamo, alla quale pure spetta il compito di nomofilachia, poiché possono essere disattese dai giudici, se motivate) diviene determinante poiché traduce la “bocca della legge” assai spesso poco comprensibile. Infatti il legislatore italiano è talmente barocco e assai spesso in mala fede da scrivere fonti di ampia interpretazione e di dubbia comprensione. Una voragine nella quale la giurisprudenza si cimenta in complesse interpretazioni, svariati distinguo, ardimentose e sofisticate letture, tali da integrare il dettato legislativo, sino alla creazione vera e propria di norme non scritte e speso neppure volute.

Non ultimo, con un respiro machiavellico, con provvedimenti tali da sovvertire la stessa ratio legis. L’esempio più abnorme è l’applicazione opposta del cosiddetto affido condiviso (l. 54/2006), che ha subito condotto la giurisprudenza a disapplicarne i principi fondamentali, creando il c.d falso condiviso e mietendo migliaia di vittime silenti (quasi sempre i padri). Materia che interessa migliaia e migliaia di persone.

Ci sono poi altre materie delicatissime, quali l’usura bancaria, in cui ora si vedono nettamente contrapposti due orientamenti giurisprudenziali: il primo è quello che richiama puntualmente le fonti normative (art. 1815 cod. civ., art. 644 cod. pen., art. 1 l. 108/96 e la giurisprudenza più autorevole tra cui Corte Cost. 29/2002, Cass. 5324/2003-350/2013-603/2013) secondo cui per valutare se un interesse è usuraro devono essere valutati “tutti gli interessi” ; il secondo è invece quello che distingue tutti gli interessi scomponendoli in quanto ritenuti non omogenei. Una distinzione non da poco poiché nel primo caso quasi sempre appaiono usurari gli interessi prepotentemente imposti dalle banche, nel secondo caso quasi mai. Discutiamo della sorte in Italia di decine di migliaia di soggetti (privati, persone giuridiche) il cui destino patrimoniale può dipendere da una tale lettura (la nullità può colpire gli interessi usurari, oscillando tra decine di migliaia di euro sino a centinaia di migliaia e a volte anche di milioni di euro), così da decidere la vita stessa di una persona. Nella giurisprudenza negativa si sta distinguendo il Tribunale di Milano con un singolare virtuosismo ed una giurisprudenza tale da avere un eco nel resto d’Italia. Ovviamente è puramente casuale che Milano sia anche la capitale economica d’Italia.

E siamo certissimi che i giudici che scrivono tali sentenze (lo ripetiamo, difformi da quanto inteso dal legislatore e da quanto ribadito dalla giurisprudenza di legittimità e dal giudice delle leggi) mai abbiano partecipato (e mai lo faranno) ai sontuosi convegni dell’Abi o della Banca d’Italia. Le scrivono in piena autonomia, indipendenza e onestà di pensiero. Ne siamo certi.

L’Italia è già uno Stato federale. Nella giurisprudenza. Nei diritti. Nei destini delle persone. Viva l’Italia!

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