"Il piccolo schermo mi ha permesso di affrontare temi ai quali non avrei potuto dedicarmi in altri contesti, arrivando a milioni di persone in una sola sera". Il regista si racconta a FQ Magazine: "Al cinema, da qualche tempo, la quantità è diventata sinonimo di qualità: sono i numeri che prevalgono"
La TV meglio del cinema per Pupi Avati perché il piccolo schermo gli permette di raccontare “storie necessarie”. Come quella sull’immigrazione, cui nessuno ha ancora saputo o voluto trovare una soluzione, dice il regista bolognese, ma i responsabili siamo noi, abbiamo depredato i loro paesi e ora paghiamo il conto. Al Quirinale però avrebbe preferito Veltroni così ci poteva parlare di cinema.
Perché il cinema non le pace più?
Perché ha perso completamente il suo senso sociale. Il cinema italiano si è sempre fatto carico di raccontare, testimoniare e accompagnare le vicende del nostro paese, spesso persino anticipandole, però da qualche tempo la qualità è diventata sinonimo di quantità, sono i numeri che prevalgono e quindi si produce un cinema che guarda solo al mercato. Così è diventato un luogo di pura evasione al pari della birreria, della pizzeria e della discoteca, e non è più un posto dove vai per confrontarti con un problema per condividerlo, per dissentire e per avere una ragione di più per riflettere su un tema, salvo rare eccezioni.
Per questo preferisce sempre di più la televisione?
Oggi solo la televisione può raccontarci delle storie importanti e con l’enorme vantaggio di incontrare il paese reale, non una sua porzione elitaria come accadeva al cinema d’autore che peraltro ormai è completamente gambizzato. Per cui meno male che c’è questa opportunità di continuare a raccontare delle storie, che ritengo necessarie, attraverso un mezzo che arriva a milioni di persone in una sola sera, proprio come accadeva al cinema negli anni settanta. Gli ultimi film che ho fatto trattano tutti temi che il cinema non mi avrebbe mai permesso di affrontare.
Come quello dell’immigrazione cui ha dedicato il suo ultimo film TV, Con il sole negli occhi, trasmesso da Rai1…
Trovo davvero tragico questo genocidio di persone che attraversano il Mediterraneo per raggiungere, quando ce la fanno, questo paradiso terrestre che dovrebbe essere rappresentato dal nostro paese, per poi vivere tra la nostra grande diffidenza, noi che li accusiamo di venire qui a portarci via il lavoro e a rubare.
Oppure a compiere atti terroristici…
Su questo poi si strumentalizza anche di più perché adesso c’è chi ha tutta la convenienza per fare una falsa comunicazione e sfruttare a proprio vantaggio la situazione. Dopo i fatti di Parigi e Charlie Hebdo ho subito pensato: ora chissà quanti diranno che in realtà non ci sono solo bambini innocenti che arrivano dalla Siria, ma anche terroristi con i kalashnikov e questo è un aspetto che aggrava ancora di più la diffidenza, l’isolamento e il distacco. Poi se ci dovessero essere delle tornate elettorali sarebbe ancora peggio perché tutto si enfatizzerebbe ulteriormente. Io invece vorrei dire che noi li amiamo e che gli vogliamo bene.
Chi è secondo lei il principale responsabile di questa situazione?
La mancanza di comunicazione: non ci conviene far sapere chi sono questi disperati, umanizzarli e dire che sono come noi, perché così li possiamo tenere lontani, perché devono fare paura. Noi invece abbiamo delle responsabilità enormi, abbiamo depredato questi continenti e adesso cosa pretendiamo? Per forza ora siamo alla resa dei conti e tutto ci si rivolta contro. Al ristorante quando hai finito d mangiare devi passare alla cassa a pagare il conto e noi adesso dobbiamo passare alla casa.
Secondo lei sono utili operazioni come Mare Nostrum prima e Frontex ora?
Frontex non sta certo dando dei risultati, questa operazione europea che è andata a sostituire quella che svolgevamo noi da soli ha invece aggravato la situazione. E poi ci sono i media che prima prestavano moltissima attenzione al fenomeno, attenzione che poi è andata scemando mentre il problema invece aumenta progressivamente. Queste persone fuggono dalla guerra e dalle atrocità più terribili e impensabili, abbiamo visto il bambino che spara, le decapitazioni in televisione, e loro sono in una situazione talmente disperata che non possono fare altro che fuggire. Vogliamo davvero sparargli ad altezza uomo?
A proposito delle immagini diffuse dall’Isis, cosa pensa dell’uso del web da parte delle organizzazioni terroristiche?
Ritengo che lo utilizzino impunemente, ma tecnologicamente non so come questo uso si potrebbe inibire. So però che ci sono ragazzi così svuotati da arrivare a decidere di andare a combattere laggiù perché noi non abbiamo offerto nulla ai giovani in nessun ambito, ideale, progettuale, niente, li abbiamo soltanto scoraggiati dicendogli che per loro è finita, che qui non c’è niente, e loro vanno altrove a cercare un senso alla loro vita.
Hanno un buco da riempire.
Sì ed è un buco enorme. Io ho dei nipoti che hanno dei figli e ho il terrore di vederli attirati da qualcosa di così estremamente negativo, ma è sempre qualcosa rispetto al niente. Noi stiamo qui a sbranarci per questioni di cortile mentre nel mondo accade tutto questo. Mentre io e lei stiamo parlando, sicuramente da qualche parte c’è un barcone con l’equipaggio che se ne è andato lasciando trecento o quattrocento persone su una barca alla deriva senza sapere dove va.
A proposito di deriva e questioni di cortile, è contento che Sergio Mattarella sia il nuovo presidente della Repubblica?
Francamente avrei preferito Walter Veltroni, non perché sia del PD che non dà un valore aggiunto né lo toglie, ma perché è l’unico politico con il quale potrei parlare di cinema e sarebbe stato l’unico presidente della Repubblica dal quale noi che facciamo cinema saremo potuti andare ogni tanto a lamentarci di qualche problema e magari lui avrebbe trovato una soluzione. Non credo che Mattarella possa mai risolverci un problema cinematografico.