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‘The New Yorker’, cento di questi 90 anni

Humor e letteratura, questi i due ingredienti principali che Harold Wallace Ross voleva nella sua rivista nuova di zecca. Nell’inverno del 1925, appena rimpatriato dal fronte della Grande guerra, decide di fondare The New Yorker insieme alla moglie e con l’aiuto finanziario di pochi ma fedeli amici, non sapendo che sarebbe diventata una delle pubblicazioni più prestigiose del mondo.

Già dal primo numero si impone la peculiare identità della rivista che è arrivata pressoché intatta fino ai giorni nostri. A 90 anni di distanza da quel 21 febbraio, il New Yorker mantiene ancora uno stile inconfondibile grazie al tocco del suo primo editore artistico Rea Irvin, creatore della copertina con il dandy americano Eustace Tilley sul primo numero. Lo stesso che viene raffigurato oggi in nove diverse versioni nel numero speciale che l’attuale editore David Remnick ha voluto pubblicare per festeggiare il 90° compleanno.

La prima copertina del New Yorker

 

Vignetta di Peter Arno

Il secondo ingrediente, quello letterario, deriva dall’inesauribile e rigoroso lavoro di scouting portato avanti dai vari responsabili editoriali che si sono susseguiti negli anni. Molti tra i più famosi scrittori americani (e non) del secolo scorso sono nati sulle pagine del New Yorker, vedendo pubblicate le loro prime opere inedite quando erano ancora dei perfetti sconosciuti. Altri hanno solidificato il loro nome come collaboratori fissi della rivista, dandole al contempo lustro e prestigio. Parliamo di figure del calibro di S.J. Perelman, Robert Benchley, John O’Hara, Edmund Wilson, J.D. Salinger, John Updike, Rebecca West, Dorothy Parker, Alice Munro, Jane Kramer, Woody Allen, John McPhee, e Milan Kundera – solo per citarne alcuni.

Nonostante le prime pagine siano dedicate alla vita culturale della città di New York, sotto forma di guida agli appuntamenti di cinema, concerti, mostre, libri e happening di tutti i tipi, i lettori spaziano da una capo all’altro degli Stati Uniti e in tutto il mondo. Il resto della rivista è infatti popolato da commenti su argomenti caldi di politica interna o internazionale, economia, cultura, stili di vita. Poi le rubriche e i racconti inediti, lunghe letture in via di estinzione nell’attuale panorama editoriale schiacciato dalle regole del web che impongono velocità, informazioni frammentate e semplicità di linguaggio. Ogni storia ospita la sua vignetta, fino al “Cartoon caption contest” dell’ultima pagina che di settimana in settimana – stimolando l’umorismo dei lettori – raccoglie le proposte per accompagnare un disegno senza battuta.

Famose per la loro cura e bellezza, le copertine disegnate di volta in volta da un artista diverso hanno raccontato in quasi cento anni il passare delle stagioni, le feste, la cultura americana e gli eventi più importanti, come quella dedicata all’attentato dell’11 settembre, disegnata dal fumettista e Premio Pulitzer Art Spiegelman, con la collaborazione della moglie Françoise Mouly. (Per inciso da pochi mesi la redazione della rivista ha traslocato al 38° piano del One Workd Trade Center, il nuovo grattacielo che sorge a Ground Zero).

Da quel tragico giorno le copertine dedicate all’attualità sono aumentate. A settembre dell’anno scorso una copertina del pittore Eric Drooker mostrava un gruppo di persone con le mani in alto, a ricordare il gesto diffuso tra i manifestanti durante le proteste a Ferguson, in Missouri, in seguito all’uccisione di un 18enne afroamericano da parte di un poliziotto. Tuttora art director del New Yorker, Mouly ha spiegato che le copertine legate all’attualità riescono ad “avere senso per due settimane, due mesi o anche 200 anni”.

E allora, caro New Yorker, cento di questi 90 anni