La petizione partita dall’Italia che ha raccolto 240mila firme in tutto il mondo, ha giocato un ruolo determinante nel salvataggio di Soheil.
Il 9 febbraio infatti, Manconi consegnava all’ambasciatore della Repubblica islamica dell’Iran in Italia, Jahanbakhsh Mozaffari, le firme raccolte da Sabri Najafi su Change.org.
L’ambasciatore aveva detto di non conoscere la situazione di Soheil, ma si era impegnato ad approfondirla, studiarne i capi di imputazione e le implicazioni: aveva assicurato che presto avrebbe dato una risposta precisa. L’ambasciatore aveva poi detto qualcosa che ci aveva dato molta speranza: nessuno in Iran, finora, è mai stato condannato a morte per aver offeso Maometto.
La Suprema corte iraniana un anno prima aveva condannato Soheil alla pena capitale per un post considerato offensivo nei confronti del Profeta. L’ambasciatore Mozaffari si era impegnato, nel colloquio del 9 febbraio, a trasmettere al proprio governo le firme e l’appello in difesa di Arabi.
A distanza di poco più di una settimana l’ambasciata iraniana ha fatto sapere a Manconi che Soheil Arabi non è più in attesa della sentenza capitale e che il suo capo di imputazione è stato modificato.
“La risposta data al presidente della Commissione dei diritti umani del Senato è meravigliosa. Sono contentissima. Vorrei piangere di gioia e usare questa occasione per chiedere al governo iraniano di riflettere anche su altre condanne a morte, riflettere sulla pena di morte e sulla necessità di abolire questa terribile legge – ha dichiarato Sabri Najafi – Ringrazio tutti firmatari della petizione su Change.org, tutti quelli che hanno scritto sui siti e giornali, dando visibilità alla storia di Soheil. Questa notizia è un vero atto di umanità, che parla ai governi del mondo che ancora applicano la pena di morte, distruggendo la cosa più bella che un essere umano possiede. Sono contenta per Soheil, per Nastaran sua moglie e per la piccola Roujan di 5 anni che aspetta il papà. Sono contenta per l’umanità dimostrata da chi ha detto no a questa condanna a morte!”
Soheil Arabi ha 30 anni, è fotografo e blogger e ha una figlia di 5 anni. Un anno fa veniva arrestato per aver insultato il profeta Maometto e alcuni personaggi politici iraniani su Facebook. Il 26 novembre 2014, Soheil era stato definitamente condannato a morte, nonostante si fosse pubblicamente pentito per quello che aveva scritto. Secondo la legge islamica infatti, se una persona si pente di quel che ha fatto, la condanna può essere ridotta a 74 colpi di frusta.
Anche Amnesty International aveva chiesto alle autorità iraniane di non uccidere il blogger e di disporre una moratoria ufficiale sulle esecuzioni come primo passo per abolire la pena di morte. L’organizzazione anche in questa occasione aveva ricordato che secondo la legge internazionale dei diritti umani la pena di morte potrebbe essere usata solo per “i crimini più seri”. E Soheil ha soltanto esercitato pacificamente il proprio diritto alla libertà d’espressione.
Molto importante il messaggio che Sabri aveva fatto recapitare all’ambasciatore iraniano attraverso il Presidente Manconi: “Non ho lanciato questa petizione per condannare l’azione del governo iraniano. Né è mia intenzione criticare la decisione di punire Soheil per le offese che ha rivolto al Profeta Maometto. Ho promosso questo appello perché non capisco il motivo per cui il Presidente iraniano Hassan Rouhani abbia condannato la strage a Charlie Hebdo e adesso permetta la morte di Soheil. Se non si ritiene giusto uccidere dei giornalisti per le loro opinioni, allo stesso modo non può essere condannato a morte un uomo per un post che ha scritto su Facebook. Non critico la volontà di punire Soheil, ma la pena di morte in questo caso è assolutamente inadeguata. Molte persone nel mondo – in Italia, in Francia e negli Stati Uniti – hanno aderito al mio appello, lo hanno sottoscritto e condiviso. Adesso confido nel governo iraniano e nel Presidente Rouhani, convinta che possano confermare con i fatti le opinioni espresse dopo la strage di Charlie Hebdo”.