La sanità dentro le carceri deve essere uguale a quella fuori. È partendo da questo sacrosanto principio che l’Asl di Massa Carrara ha avviato due progetti all’interno della casa di reclusione massese, facendo da apripista in Italia nel miglioramento dell’assistenza sanitaria dei detenuti. O meglio: nel creare quelle pari opportunità in campo sanitario, tra il dentro e il fuori, che in Italia non esistono. Punto primo: i detenuti potranno scegliersi il medico di fiducia e non saranno più costretti ad avere il primo disponibile. Punto secondo: i familiari potranno monitorare il loro stato di salute attraverso uno sportello informativo; quello che forse i parenti dei vari Stefano Cucchi, Marcello Lonzi, Aldo Bianzino e di tutti i strani morti “per cause naturali” sotto la custodia dello Stato avrebbero desiderato. Quello di Massa è il primo (e al momento unico) carcere in Italia ad aprirsi a questa novità.
A idearla e promuoverla sono stati Franco Alberti, responsabile del presidio distrettuale del carcere massese e Bruno Bianchi, vicedirettore sanitario dell’Asl, che chiariscono a ilfattoquotidiano.it che per uguaglianza nel diritto alla salute fra detenuti e liberi “non s’intende solo uguaglianza nell’offerta dei servizi sanitari”, ma “pari opportunità nell’accesso al bene nei livelli di salute e delle particolari condizioni di vita in regime di libertà”. Prima di questo progetto, infatti, i detenuti nel penitenziario massese – come ancora nel resto d’Italia – erano costretti a farsi visitare dal medico di turno. Succedeva quindi che il medico fosse uno sconosciuto e che cambiasse ogni settimana. Mancava il rapporto di fiducia fra il medico e il paziente e, soprattutto, la continuità nella diagnosi.
“In questo modo la sanità è completamente inefficiente – spiega Alberti – perché ogni visita è come se fosse la prima. La percezione del detenuto poi è quella di una sanità repressiva e non curativa. E anche questo è un fattore che può provocare patologie”. E infatti, stando alle statistiche, i detenuti hanno più bisogno di cure rispetto ad altri. Se si guarda lo stato di salute di quelli toscani rispetto ai cittadini liberi si nota infatti che il 41% dei carcerati soffre di disturbi psichiatrici rispetto al 2,5% degli altri. O, solo per fare un altro esempio: oltre l’11% dei detenuti soffre di malattie infettive e parassitarie rispetto al 2% dei non detenuti. “Curare i detenuti – chiarisce il vicedirettore sanitario – significa rendere la loro detenzione migliore e creare un percorso di rieducazione”.
I 240 detenuti del penitenziario di Massa quindi hanno potuto scegliersi il medico di fiducia fra gli 8 del presidio sanitario. Ognuno dei quali ha giorni e orari di visita stabiliti, proprio come fuori dal carcere. Per le emergenze rimane il medico di turno e ci sono poi 13 specialisti (psicologo, ortopedico, chirurgo…). Per quanto riguarda lo sportello informativo: è situato in uno dei locali del carcere, sarà aperto il primo e il terzo mercoledì del mese e permetterà ai parenti (previo consenso dei detenuti) di accedere alla cartella clinica. A dare le informazioni, al momento, è il responsabile del presidio, ma in futuro ci saranno gli stessi medici di fiducia. Insomma, un modello che si spera venga emulato nelle altre carceri.
Questo, sia chiaro, prima del 2008 non sarebbe stato possibile. Prima della finanziaria del governo Prodi infatti le competenze del servizio sanitario nelle carceri erano in mano al Ministero di Grazia e Giustizia. Solo nel 2008 sono state trasferite a quello della Salute e si è creata la possibilità di portare la sanità pubblica dentro le mura del carcere. Certo, molto, quasi tutto, dipende ancora dall’amministrazione penitenziaria e dalla sua apertura a questo tipo di iniziative.
Nel caso massese l’Asl ha trovato terreno fertile, tant’è che il servizio sanitario all’interno dell’istituto penitenziario massese è una chicca, se confrontato al resto d’Italia. Dal 2002 quel carcere è diventato anche un punto di riferimento regionale per soggetti disabili autosufficienti, anche transitori, che necessitano di riabilitazione fisica e di soggetti affetti da Hiv di livello intermedio. È stata creata una palestra all’interno dell’infermeria per la riabilitazione e percorsi assistenziali per i pazienti sieropositivi. È stata fatta poi formazione del personale sanitario e penitenziario “perché curare un detenuto non è come curare un cittadino libero”, chiarisce il responsabile del presidio. Certo, rimangono criticità come la palestra ridotta, le poche ore di riabilitazione, il sovraffollamento carcerario (240 detenuti con una capienza di 176 posti letto), ma quello che conta, adesso, è il buon esempio.