Il Parlamento ha una voglia matta: riaprire le famigerate case. Sì, proprio quelle che, sul finire degli Anni ’50, Angelina Merlin chiuse con l’omonima legge che pose fine all’esercizio legale della prostituzione. Una tentazione non isolata, che si inserisce nella tormentata ricerca di una soluzione per arginare un fenomeno che sembra ormai assediare interi quartieri delle città italiane. L’ultima trovata è arrivata da Roma, dove il sindaco Ignazio Marino si era spinto a proporre la creazione di un quartiere a luci rosse in zona Eur. Apriti cielo. Dopo le polemiche dilagate sui giornali, persino il Partito democratico è sceso in campo. Scaricando il suo primo cittadino.
ROBUSTA COSTITUZIONE – Bocciato Marino, il problema resta: come regolare la prostituzione? Come fermare il suo esercizio smodato, che sta provocando reazioni sempre più accese da parte dei cittadini? Aprendo i cassetti di Montecitorio e Palazzo Madama si scopre che rappresentanti di quasi tutti i partiti hanno depositato proposte sul tema. Ben 12 disegni di legge, tutti fermi al palo, che ipotizzano le soluzioni più disparate. A farla da padrone è l’idea delle case chiuse. Ma per governare il fenomeno e tutelare prostitute e clienti c’è chi, come i leghisti Massimo Bitonci (oggi sindaco di Padova) e Roberto Calderoli, arriva a suggerire visite mediche periodiche a carico delle Asl e persino corsi di formazione e sostegno economico per chi decide di cessare l’attività. Non mancano i distinguo. La proposta firmata da Maria Spilabotte e Valeria Fedeli (Pd), prevede che l’esercizio della professione possa essere full time o part time. Nel primo caso va versata alla camera di commercio una somma di seimila euro l’anno, che si dimezza a tremila nel secondo. In più, dicono ancora le due senatrici dem, è “facoltativo” il “certificato di sana e robusta costituzione che escluda la positività a qualunque malattia che potrebbe essere trasmessa per via sessuale”. Della stessa idea è anche Delia Murer. Favorevole alla riapertura delle case chiuse, per la deputata del Partito democratico non è possibile disporre “controlli sanitari obbligatori” nei confronti delle prostitute. Mentre Maria Elisabetta Alberti Casellati (dal settembre scorso componente del Consiglio superiore della magistratura) e Alessandra Mussolini (Forza Italia, nel 2014 eletta al Parlamento europeo) nella proposta depositata prima di cambiare incarico sostengono di voler legalizzare la “cessione di prestazioni sessuali verso corrispettivo di un prezzo tra soggetti maggiorenni consenzienti”. A patto che ci sia un libretto sanitario con “gli esiti dei controlli medici da effettuare con cadenza semestrale”.
TUTTO A CASA – Sul tema si esercita anche un senatore diventato una star della comicità politico-televisiva: Antonio Razzi (Fi) che, nella proposta depositata a Palazzo Madama chiede invece di “disciplinare l’esercizio della prostituzione tramite l’introduzione dell’attività di operatore di assistenza sessuale (Oas)”. Nelle intenzioni del senatore berlusconiano la professione, vietata in luogo pubblico, può essere esercitata “all’interno di una privata dimora o in appositi studi professionali destinati a tale scopo esclusivo” in due modi: come ditta individuale, in questo caso è obbligatoria l’apertura di “un’apposita partita Iva”, oppure costituendo una cooperativa “i cui soci devono essere in possesso dei permessi rilasciati dalle autorità competenti”. Per proteggere i clienti da malattie sessualmente trasmissibili, è il parere di Razzi, “nell’esercizio dell’attività di Oas è obbligatorio l’uso del profilattico per qualsiasi tipo di prestazione”. Il suo eventuale danneggiamento durante il rapporto sessuale “deve essere denunciato, da parte del soggetto che esercita l’attività di Oas, alle autorità sanitarie competenti entro il primo giorno feriale successivo all’evento indicando le generalità del cliente”. L’attività, inoltre, può essere pubblicizzata sulla stampa quotidiana e periodica (purché “non destinata espressamente a minori”) nonché in radio e televisione, ma solo fra le 23 e le 6 del mattino.
GUAI AL CLIENTE – Non tutti, però, sono favorevoli alla riapertura delle case di prostituzione. Anzi. Alcune altre proposte presentate fra Camera e Senato, come quella di Rocco Buttiglione e Paola Binetti (Area popolare), puntano a capovolgere la prospettiva. Punire i clienti, non le prostitute. Le pene ipotizzate sono severissime, a partire da una multa che oscilla fra 500 e duemila euro per chi viene trovato la prima volta in compagnia di una prostituta, fino al carcere (dai 3 mesi a un anno) in caso di reiterazione “per più di tre volte”. Un giro di vite che appassiona anche il deputato del Pd Alessandro Naccarato, che a differenza dei colleghi centristi non risparmia proprio nessuno. Il suo disegno di legge prevede sanzioni economiche comprese fra i 500 e i 5.000 euro sia per chi ‘esercita la professione’ che per i clienti. Con un’aggravante: il “sequestro dell’autoveicolo per tre mesi”, nel caso in cui il rapporto avvenga in macchina e sia scoperto dalle autorità. Enrico Buemi e Riccardo Nencini sono invece più ‘teneri’. I due senatori socialisti propongono una legalizzazione “privata” dell’attività, da svolgere in luoghi “non esposti al pubblico”, vietando al tempo stesso “qualunque forma associata di esercizio della prostituzione”. In quest’ultimo caso la multa può raggiungere anche i 50 mila euro. Insomma: chi sbaglia paga. E a caro prezzo.
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