A essere contrari non sono solo i soci di minoranza e gli scrittori delle case editrici della galassia Rizzoli. L’ipotesi della cessione della divisione libri di Rcs al gruppo Mondadori ha fatto subito salire sulle barricate i rappresentanti sindacali dei giornalisti (cdr) e degli altri dipendenti di Rcs MediaGroup. Che in un comunicato gridano alla “ennesima svendita dettata esclusivamente dalla logica del fare cassa” – si parla di un’offerta inferiore ai 150 milioni di euro – “dopo la cessione della sede storica del Corriere della Sera di via Solferino e le dolorose chiusure e alienazioni di molte testate della Rizzoli Periodici“. Secondo i giornalisti “serviva un’azione di rilancio. Invece con la cessione di Rcs libri il gruppo verrebbe sfigurato e privato di una parte rilevante della sua identità culturale. Economicamente è un’iniziativa suicida: Rcs Libri è una società in grado di produrre utili”. Per di più, notano gli organismi sindacali dell’editrice del Corriere della Sera, “ci parrebbe quantomeno singolare che una decisione così delicata e strategica per il futuro dell’azienda venga deliberata da un consiglio di amministrazione in scadenza a breve”. Ma il punto, a ben vedere, è proprio questo. E va a braccetto con la situazione finanziaria del gruppo, zavorrato da un debito complessivo che veleggia intorno ai 500 milioni di euro.
All’ordine del giorno dell’assemblea degli azionisti convocata per il 23 aprile, che dovrebbe coincidere con l’uscita del direttore del Corriere Ferruccio de Bortoli, c’è infatti il rinnovo del consiglio di amministrazione dell’editrice. Un passaggio fondamentale per la ridefinizione dei già delicati equilibri tra gli azionisti e, di conseguenza, di quelli interni all’azienda. Incamerare prima di quella data risorse che permettano di ridurre l’indebitamento ed evitare così allo stesso tempo sia la conversione in azioni di parte del debito delle banche creditrici come Intesa Sanpaolo, sia la necessità di un nuovo aumento di capitale dopo quello da oltre 400 milioni del luglio 2013, darebbe maggior spazio di manovra all’amministratore delegato uscente Pietro Jovane. E anche al suo sponsor John Elkann, che è il primo azionista del gruppo attraverso Fiat Chrysler Automobiles, a cui seguono nell’ordine Mediobanca, Diego Della Valle, Invesco, Unipol, Pirelli, Intesa, Cairo e gli eredi di Giuseppe Rotelli. Un salotto che negli anni si è molto sfoltito, ma che resta pur sempre affollato e sempre meno incline alle larghe intese.
Sintomatica, in tal senso, l’estrema difficoltà di trovare un accordo sul nome del nuovo direttore del Corsera, benché siano noti da tempo i desiderata di Elkann che vorrebbe portare in via Solferino l’attuale direttore della Stampa, Mario Calabresi. Scelta che spianerebbe la strada alla creazione dell’agognato polo editoriale unico sull’asse Milano-Torino. Altri soci permettendo. Non per niente il comitato di redazione, nella nota diffusa oggi, ricorda che “una seconda tranche di ricapitalizzazione da 200 milioni è già stata approvata ed è a disposizione dell’amministratore delegato. Ma piuttosto che ricorrere ai soldi degli azionisti si preferisce mettere sul mercato i ‘gioielli di famiglia‘, tradendo il modo di fare impresa che fece grande il marchio Rizzoli grazie al suo fondatore”.