Un porto franco, una terra di nessuno dove tutto è permesso. Persino sfregiare monumenti patrimonio dell’umanità come la Barcaccia del Bernini in Piazza di Spagna o la statua di Giordano Bruno a Campo de’ Fiori. Perché in Italia l’ordine pubblico, specie in occasione delle manifestazioni sportive, non è garantito. Chi ci viene lo sa e ne approfitta, mentre all’estero le cose vanno molto diversamente. Ieri il match di Europa League fra Roma e Feyenoord si è trasformato in una “guerriglia” urbana. Lesioni personali, violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento (aggravato nel caso di monumenti): sono solo alcuni dei reati penali di cui gli hooligan olandesi si sono resi colpevoli nel centro della Capitale. Le forze dell’ordine, però, sono intervenute tardi e con indecisione: e alla fine della due giorni di follia il bilancio è di appena 28 arrestati, di cui 19 condannati per direttissima ma già su un aereo per fare ritorno a casa, a fronte di danni ingenti alla città. Certo, c’è ancora la possibilità di un arresto in flagranza differita (per le 48 ore successive), ma nessuno di loro dovrebbe vedere le galere italiane.
La controprova non esiste, ma probabilmente se un nugolo di tifosi ubriachi si fosse scagliato a Londra contro il Big Ben, o a Parigi contro l’Arco di trionfo, la reazione delle forze dell’ordine sarebbe stata ben più dura. In Inghilterra è molto diffusa in casi di manifestazioni che sfociano nella violenza la pratica del “kettling”: alla prima avvisaglia di pericolo i poliziotti pressano i manifestanti verso un’area circoscritta, e li chiudono con delle sbarre di ferro. ‘Transennati vivi’, i violenti vengono lasciati lì per ore, senza cibo, acqua e servizi igienici, fino a quando non si calmano (o, in casi estremi, non arrivano in massa le forze dell’ordine in grado di contenerli in maniera definitiva). Una pratica aspramente criticata dalle associazioni di difesa dei diritti umani, a volte usata in maniera indiscriminata. Ma di sicura efficacia. Anche in Francia la polizia non va molto per il sottile: lo scorso ottobre a Lille, in occasione di un incontro di Europa League fra la squadra di casa e l’Everton, decine di tifosi inglesi protagonisti di incidenti furono duramente attaccati dalla polizia. Per sedare gli scontri, gli agenti francesi utilizzarono lacrimogeni, proiettili di gomma e persino una granata stordente sulla folla, scatenando le proteste del sindaco di Liverpool. Ma il questore di Lille ebbe modo di dire dopo poche ore: “La situazione era velocemente degenerata in episodi di violenza, ma altrettanto velocemente è stata ricondotta alla normalità”.
C’è un precedente che meglio di tutti esemplifica la differenza fra l’Italia e l’estero: la partita, sempre di Europa League, fra Lazio e Legia Varsavia del 2013. All’andata oltre 2mila ultrà polacchi misero a soqquadro la capitale: un po’ come successo ieri, furono tenuti (più o meno) sotto controllo a distanza dalla polizia inerme, poi accompagnati all’entrata e all’uscita dallo stadio, fino al termine della loro turbolenta trasferta. Al ritorno, invece, in seguito a degli incidenti simili 120 tifosi della Lazio vennero arrestati, con tanto di irruzione delle forze dell’ordine in albergo. Furono portati in carcere e ci rimasero anche abbastanza a lungo (alcuni per quasi un mese, nonostante l’intervento del governo italiano).
Difficile individuare le ragioni di un trattamento così diverso. Secondo Massimo Rossetti, avvocato di Federsupporter (associazione che tutela e rappresenta i tifosi) non è tanto un problema di leggi quanto di atteggiamento. “Rispetto al resto d’Europa l’Italia non è seconda a nessuno sul piano normativo: il problema è che le norme rimangono solo sulla carta”. L’Italia fatica ad applicare le sue leggi, anche ieri le istituzioni non sono state all’altezza della situazione: se per impreparazione, disorganizzazione o indecisione dovranno stabilirlo le autorità competenti che stanno valutando l’accaduto. La caccia alle responsabilità e alle falle del sistema è già cominciata. Ma il risultato è chiaro: “È come se da noi ci fosse una sorta di impunità per le manifestazioni sportive”, conclude Rossetti. “La domanda da porsi non è tanto cosa sarebbe successo se questi tifosi si fossero comportati così in un altro Paese, ma se si sarebbero mai comportati così all’estero. L’idea ormai diffusa è che in Italia si possa fare un po’ ciò che si vuole”.