Scienza

Vaccini, la pseudoscienza fa male

Negli Stati Uniti si assiste ad un ritorno del morbillo, una malattia che era stata quasi debellata col vaccino. Il motivo? Molti genitori si rifiutano di far vaccinare i propri figli. Sebbene in genere il morbillo, per un bambino ben nutrito e altrimenti sano, sia una malattia benigna, sulla scala di una epidemia la letalità non è bassa: è di circa 1 caso su 3.000 per la polmonite o per le complicanze neurologiche. La paura del vaccino è ingiustificata: le reazioni avverse al vaccino sono rare e comunque in genere più benigne delle complicanze del morbillo.

Sarebbe interessante indagare dal punto di vista della psicologia sociale, le ragioni del successo della bufala pseudoscientifica per cui il vaccino contro il morbillo fa venire l’autismo. Se infatti è comprensibile la paura dei genitori di danneggiare i propri figli, visto che reazioni avverse alle vaccinazioni, sebbene rare, esistono, non è comprensibile la sottovalutazione dei rischi della mancata vaccinazione. D’altra parte esistono, ed hanno un certo seguito, bufale pseudoscientifiche anche in campi che non hanno una ovvia giustificazione: ad esempio ci sono molte persone che attribuiscono grande rilievo all’ipotesi che sia possibile viaggiare a velocità superiori a quella della luce o che sia possibile violare uno dei principi della termodinamica. Negli Stati Uniti si tengono addirittura congressi di pseudoscienziati che presentano le loro macchine a moto perpetuo. Nessuna di queste funziona.

Le bufale pseudoscientifiche sono dannose perché mettono in atto fenomeni sociopolitici immotivati, dalle conseguenze difficilmente prevedibili. Abbiamo visto trial clinici estesi e costosi per dimostrare che terapie fantasiose, prive di basi scientifiche, non funzionano (e spesso causano danni gravi ai pazienti); ma abbiamo anche visto Beppe Grillo promettere tecnologie mirabolanti (macchine a idrogeno, a sua volta prodotto attraverso l’energia solare, etc.) e usare queste promesse come strumento di consenso politico. Opporsi alla proliferazione delle bufale pseudoscientifiche è un dovere sociale della comunità accademica ed in generale degli intellettuali del paese. Purtroppo però non è sufficiente: il successo della pseudoscienza ha ragioni psicologiche profonde, che non sono scalfite dalla sola diffusione della cultura scientifica. La pseudoscienza sostituisce nel mondo moderno il magico ed il trascendente e risponde ad un bisogno evidentemente alquanto profondo. Chi crede nella pseudoscienza, si sente da questa gratificato: è “quello che ha capito” o “quello a cui non la si fa”. In questo senso la pseudoscienza è politica molto prima di diventare strumento di propaganda à la Beppe Grillo: è politica perché rappresenta una forma di visione del mondo di un certo numero di persone.

Chi crede nella pseudoscienza avversa la scienza vera, e le sue istituzioni, prime tra tutte le università e gli Enti Pubblici di Ricerca. E plaude ad ogni iniziativa politica volta a punire queste istituzioni; né queste iniziative politiche punitive (l’Italia finanzia la ricerca in misura inferiore a tutti gli altri paesi europei) sarebbero state possibili in assenza di un solido consenso sociale. Spesso l’amante delle bufale vede intorno a se i complotti dell’industria farmaceutica, o delle compagnie petrolifere, complotti ai quali aderirebbero le università e gli Enti Pubblici di Ricerca, in cambio di innominabili vantaggi. La logica del complotto, per l’amante della bufala, non è solo inoppugnabile, ma anche necessaria: se il vaccino uccide perché lo si rende obbligatorio? se si possono fare automobili ad idrogeno non inquinanti ed economiche, perché non si fanno? L’amante della bufala non si fa smontare dall’osservazione banale che il vaccino uccide meno bambini di quanti ne salva, o che la benzina si distilla dal petrolio (che c’è) mentre l’idrogeno deve essere prodotto a caro prezzo: la perfezione è di questo mondo, basta volerla; e se non si realizza è perché qualcuno, cattivo, non vuole.