“Shadows in the Night” raccoglie canzoni che parlano della vecchia America, d'amore ma soprattutto di vita e il menestrello di Duluth dona loro un'umanità nuova. Struggente l' interpretazione di “I'm a Fool to Want You” dove un'intera esistenza sembra posarsi sulla bocca e sul respiro di un uomo in grado di illuminare di nuova luce ogni singola parola
Artista: Bob Dylan
Album: Shadows in the Night
Provenienza: Stati Uniti
L’inafferrabile menestrello di Duluth riesce ancora a prendere tutti in contropiede. Mentre gli ultimi eroi del rock’n’ roll continuano ad aggrapparsi all’idea di eterna giovinezza – ostinatamente ancorati alla fine degli anni sessanta – Bob Dylan dall’alto dei suoi settantaquattro anni incide un disco che attinge al “Great Songbook Americano”, prendendo come riferimento il repertorio di Frank Sinatra. Intervistato dal magazine AARP (“American Assotiation of Retired Persons”) – al quale sono state acutamente regalate 50.000 copie del disco da consegnare agli abbonati – Dylan rimarca l’importanza dell’adattarsi al tempo che passa, ammettendo che “la passione è un gioco da giovani” e che “i vecchi devono essere più saggi”.
Dylan non solo ritorna con un disco che spiazza critica e fan, ma si lascia anche andare ad un appassionato discorso in occasione della cerimonia di premiazione dei “MusiCares”, che quest’anno lo ha visto vincitore. Si tratta di una riconoscenza molto importante visto che l’associazione che lo ha ideato si prodiga in favore dei musicisti in difficoltà. Quasi un’ora di discorso durante il quale esprime concetti affilatissimi e se da una parte regala parole meravigliose per Joan Baez (“lei era la regina della musica folk. Allora e adesso. Le piacquero le mie canzoni e mi portò con sé a suonare ai suoi concerti”), dall’altra non risparmia uno sguardo impietoso alla scena musicale attuale divorata dalle fabbriche dei talent show. Lo fa partendo dalle continue critiche che negli anni sono state mosse alla sua voce e riporta un esempio al quale aveva assistito qualche anno fa durante un incontro di pugilato: “Qualcuno cantò l’inno nazionale portoricano, molto bello, profondo e commovente. Poi fu la volta del nostro inno nazionale. Scelsero una ‘sister soul’ molto popolare. Lei cantò ogni singola nota. Ogni nota che esiste e anche quelle che non esistono. Parlate tanto di straziare una melodia, di prendere una singola sillaba e farla durare quindici minuti. Ecco, questo è quello che fece quella cantante: ginnastica per le corde vocali, come se si trovasse al trapezio. Ma per me non fu divertente. Dove erano i critici? Straziare le parole? Allungare una canzone così importante e preziosa? No, accusatemi pure ma non penso di fare una cosa del genere. Penso solo che siano i critici a dirlo”.
Impossibile non essere dalla parte di uno sguardo così lucido, pur riconoscendo l’estrema difficoltà nel mantenere il passo con un artista che ha fatto della sua vita un cambiamento continuo, mescolando le carte fino a stravolgere i giochi. Lo fece il 25 luglio del 1965 quando imbracciando una Fender elettrica al festival folk di Newport cambiò il corso della propria storia, e non solo. Il Pete Seeger talmente sconvolto e infuriato davanti a tale affronto da tentare di tagliare i cavi della corrente, viene oggi annoverato nella leggenda più che nella storia, ma la reazione attonita e poco accogliente da parte del pubblico del Newport Festival sembra essere inopinabile: dov’è finito il folk singer in perfetta tenuta da operaio che occupava la copertina di “The Times they Are a-changing”?
E oggi, a quasi cinquant’anni di distanza da una perfetta epifania, dov’è il Dylan che stravolge, contorce, graffia e riporta in vita la verità attraverso le sue parole e il suo indescrivibile – e a tratti sprezzante – modo di cantarle? In Questo nuovo lavoro – “Shadows in the Night” – c’è il Dylan di sempre, quello che per sua stessa ammissione “scombina le aspettative”: il cantato è molto più pulito di quanto non ci si aspetterebbe e l’approccio di Dylan è genuinamente rispettoso, tanto da restare fedele alle melodie originali, ma la luce è completamente diversa. “Some Enchanted Evening” viene spogliata dell’originale vitalità per trasformarsi in un canto pieno di malinconia. Ci sono i classici “Autumn Leaves”, “That Lucky Old Sun”, “Stay With Me”, “Full Moon and Empty Arms” ma il momento migliore del disco è la struggente interpretazione di “I’m a Fool to Want You” dove un’intera esistenza sembra posarsi sulla bocca e sul respiro di un uomo in grado di illuminare di nuova luce ogni singola parola. “Shadows in the Night” raccoglie canzoni che parlano della vecchia America, d’amore ma soprattutto di vita e Dylan dona loro un’umanità nuova. Ancora una volta i critici si divideranno – per quest’occasione ci saranno anche molti Dylanisti – e ancora una volta il menestrello di Duluth sarà riuscito a “scombinare le aspettative”.