Via i co.co.pro, ma restano le altre forme di precariato. Possibilità di demansionare, estensione del congedo parentale. Ecco le principali norme approvate dal governo Renzi
I co.co.pro. sono superati, ma restano le altre forme di lavoro precario. E c’è la possibilità di demansionare i dipendenti in tutti i casi di riorganizzazione aziendale. Queste le principali novità introdotte dal decreto attuativo del Jobs act, varato in via preliminare dal Consiglio dei ministri. Il provvedimento dovrà ora essere inviato alle commissioni parlamentari competenti, che potranno proporre modifiche. Stesso discorso per il testo in materia di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro con le misure per la maternità. Approvati invece in via definitiva i due decreti attuativi del Jobs act presentati la vigilia di Natale, che riguardano il contratto a tutele crescenti, utilizzabile a partire dall’1 marzo, e i nuovi ammortizzatori sociali Naspi, Asdi e Dis-coll, che scatteranno invece dal primo maggio. Sono subito operative le discusse modifiche all’articolo 18 in tema di licenziamenti e la possibilità di reintegro viene eliminata anche nei provvedimenti collettivi.
Superati i co.co.pro. anche grazie alla sanatoria per i datori di lavoro – “Oggi è il giorno atteso da anni. Il #JobsAct rottama i cococo cocopro vari e scrosta le rendite di posizione dei soliti noti #lavoltabuona“. Così ha twittato il premier Matteo Renzi. In realtà, occorre fare qualche distinguo. In effetti, dall’entrata in vigore del decreto non potranno essere più attivati co.co.pro. Ciò significa che chi vuole stipulare un contratto a progetto potrà farlo ancora per qualche settimana, fino a quando le Camere avranno espresso i propri pareri. Poi, il Consiglio dei ministri si riunirà nuovamente e approverà in via definitiva il decreto. E da allora davvero non sarà più possibile ricorrere a quella tipologia contrattuale.
Discorso diverso per i contratti già in essere. In questo caso, i rapporti di lavoro proseguiranno alle stesse condizioni fino alla loro naturale scadenza. Tuttavia a partire dall’1 gennaio 2016 alle collaborazioni “camuffate“, cioè quelle organizzate dal committente, sarà applicata la disciplina del lavoro subordinato. Si parla di quei “rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”. Restano fuori da questi casi le collaborazioni regolate da accordi sindacali collettivi, quelle relative a professioni inquadrate negli albi, quelle legate alle società sportive, quelle esercitate dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società.
Per promuovere il passaggio dalle collaborazioni a contratti a tempo indeterminato, entro il 31 dicembre 2015 il decreto prevede una sorta di sanatoria per i datori di lavoro che abbiano imposto collaborazioni “fasulle”: nel testo, si parla di “estinzione delle violazioni previste dalle disposizioni in materia di obblighi contributivi, assicurativi e fiscali connessi alla eventuale erronea qualificazione del rapporto di lavoro pregresso”. In cambio il datore di lavoro non potrà estinguere il rapporto di lavoro nell’anno successivo all’assunzione e il lavoratore rinuncerà “a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro”.
Aboliti associazione in partecipazione e job sharing – Il decreto ha abolito due forme contrattuali. La prima è l’associazione in partecipazione, quella in cui l’imprenditore si accorda con uno o più soggetti che svolgono la propria attività lavorativa e sono ricompensati con una partecipazione agli utili dell’impresa. Uno strumento abusato (spesso veniva utilizzato impropriamente nel settore del commercio per inquadrare i commessi) e che ha generato centinaia di vertenze. Cancellato anche il contratto di lavoro ripartito, comunemente detto “job sharing“, secondo il quale due persone si dividono consensualmente lo stesso posto di lavoro, assumendosi in solido l’adempimento di un’unica e identica obbligazione lavorativa. Si tratta di una forma contrattuale applicata in soli 300 casi.
Ma restano intatti gli altri contratti precari – Se da una parte si dice addio a co.co.pro., associazione in partecipazione e job sharing, dall’altra si mantengono attivi, anche se con qualche modifica, gli altri rapporti di lavoro precari. Non cambia il contratto a tempo determinato, con un tetto massimo di durata di 36 mesi comprensivi di cinque proroghe. Confermato il contratto a chiamata: il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha ammesso che “non siamo stati abbastanza bravi a trovare un’alternativa adeguata”. Il contratto di somministrazione, tipico delle agenzie interinali, è prevista un’estensione del campo di applicazione, eliminando le causali, ma al contempo si introduce un limite al suo utilizzo: i dipendenti con questo contratto possono essere al massimo il 10% rispetto al totale dei lavoratori a tempo indeterminato all’interno dell’azienda. Restano anche i voucher e, anzi, sarà elevato da 5mila a 7mila euro all’anno il tetto dell’importo per il lavoratore. Sul fronte dell’apprendistato, si unificano il primo livello (quello per il diploma e la qualifica professionale) e il terzo (alta formazione e ricerca).
Non solo demansionamento: con “accordi individuali” sarà possibile anche ridurre lo stipendio – In caso di “modifica degli assetti organizzativi aziendali” il lavoratore può essere assegnato a mansioni di un livello inferiore rispetto a quello per cui era stato assunto. Il lavoratore “ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa”. Il mutamento di mansioni deve comunque essere accompagnato da obblighi di formazione “il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità” del demansionamento. Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni inferiori possono essere previste dai contratti di lavoro collettivi, anche aziendali. Possono inoltre “essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita”. In caso di modifica degli assetti organizzati aziendali, il lavoratore può anche essere trasferito da un’unità produttiva all’altra.
Eliminato il reintegro anche per i licenziamenti collettivi – Confermata la nuova disciplina su licenziamenti e contratto a tutele crescenti emersa nei decreti attuativi di dicembre. Il provvedimento è valido solo per i nuovi contratti stipulati a partire dalla sua entrata in vigore, il che crea un “doppio binario” tra vecchi e nuovi assunti. A questi si aggiungono quanti rientrano “nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato”. In particolare, la norma sarà valida anche per i licenziamenti collettivi, un dettaglio cui si erano opposti non solo i sindacati, ma anche la commissione Lavoro della Camera, che aveva chiesto al governo di rivedere la sua decisione.
In caso di licenziamento illegittimo, quindi, il lavoratore sarà indennizzato in base all’anzianità di servizio (due mensilità per ogni anni di lavoro, da un minimo di 4 a un massimo di 24 mesi), mentre la reintegra sarà prevista esclusivamente per i licenziamenti nulli, discriminatori e in un solo caso di provvedimento disciplinare, cioè quando non sussiste il fatto materiale di cui è accusato il dipendente: così il giudice non potrà valutare l’eventuale sproporzione tra atto commesso e licenziamento.
Confermati i nuovi ammortizzatori sociali: Naspi, Asdi, Dis-coll – La Naspi, cioè Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego, va a sostituire gli attuali sussidi di disoccupazione, cioè Aspi e mini Aspi. L’importo della Naspi è rapportato alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni. L’indennità mensile è pari al 75% dello stipendio, se questo è pari o inferiore a 1195 euro nel 2015, cifra poi rivalutata annualmente. Se la busta paga invece è superiore, l’importo della Naspi cresce fino a un massimo di 1.300 euro.
L’Asdi (Assegno di disoccupazione) è invece destinata a quanti abbiano esaurito la Naspi e si ritrovino ancora senza lavoro e in gravi difficoltà economiche. L’Asdi sarà erogato per una durata massima di sei mesi e sarà pari al 75% dell’ultimo trattamento percepito ai fini della Naspi.
La Dis-coll interessa infine i nuovi eventi di disoccupazione dal 1 gennaio 2015 e sino al 31 dicembre 2015: sarà riconosciuta ai collaboratori coordinati e continuativi e a progetto, iscritti in via esclusiva alla Gestione separata, non pensionati e privi di partita Iva. L’assegno sarà erogato a quanti possano far valere almeno tre mesi di contribuzione dal primo gennaio dell’anno solare precedente. La Dis-coll sarà pari al 75 per cento del reddito percepito nei casi in cui sia pari o inferiore nel 2015 all’importo di 1195 euro mensili, una cifra che poi sarà annualmente rivalutata. Nei casi in cui il reddito sia superiore, l’indennità cresce, ma senza superare l’importo massimo mensile di 1300 euro nel 2015.
Decreto maternità: esteso il congedo parentale – Oltre al testo sulle collaborazioni, il Consiglio dei ministri ha esaminato anche il decreto sulla maternità. Anche questo testo dovrà passare per le Camere prima dell’approvazione definitiva. Il documento prevede un’estensione dell’arco di tempo in cui sarà possibile godere del congedo parentale: si passa dagli attuali 8 anni di vita del bambino ai 12. Quello parzialmente retribuito (30%) viene portato dai 3 anni di età del bambino a 6 anni, mentre quello non retribuito dai 6 anni di vita del bambino ai 12 anni. Lo stesso vale per i casi di adozione o di affidamento, per i quali la possibilità di fruire del congedo parentale decorre dall’ingresso del minore in famiglia.
Novità anche sul congedo obbligatorio di maternità. In caso di parto prematuro, i giorni di astensione obbligatoria non goduti prima del parto sono aggiunti al periodo di congedo di maternità post partum anche quando la somma dei due periodi superi il limite complessivo dei 5 mesi. In caso di ricovero del neonato, si prevede la possibilità di usufruire di una sospensione del congedo di maternità, a fronte di una certificazione medica che attesti il buono stato di salute della madre. In materia di congedi di paternità, viene estesa a tutte le categorie di lavoratori, e quindi non solo per i lavoratori dipendenti come attualmente previsto, la possibilità di usufruire del congedo da parte del padre nei casi in cui la madre sia impossibilitata a fruirne per motivi naturali o contingenti.
Sono inoltre state introdotte estensioni di tutele già previste per i genitori naturali ai casi di adozione e affido. Infine, è stato introdotto il congedo per le donne vittime di violenza di genere: si prevede la possibilità per queste lavoratrici dipendenti di imprese private di astenersi dal lavoro, per un massimo di tre mesi, garantendo l’intera retribuzione e la maturazione delle ferie. Viene anche introdotto il diritto di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale a richiesta della lavoratrice.