"Fatta l'incredibile scoperta Incontrai subito Letizia ed Anna Castellini, nipoti del Portaluppi, l’architetto che salvò nel 1920 la vigna dall’estirpazione e che la inglobò nella sua Casa degli Atellani. Chiesi alle nipoti notizie dei filari salvati dal nonno e proprio durante il primo sopralluogo scoprii il punto preciso dove i filari erano piantati", ha raccontato a FQ Magazine
Luca Maroni, analista sensoriale, esperto di vini, autore ed editore dell’Annuario dei Migliori Vini Italiani, dopo undici anni di lavoro è riuscito a ritrovare e reimpiantare in Milano l’originaria vigna di Leonardo da Vinci. Il reimpianto è stato fatto con viti identiche alle originali, rinvenute nel 2008 da Luca Maroni e dal Gruppo Scientifico di lavoro dell’Università di Agraria di Milano, diretto dal Professor Attilio Scienza. Il lavoro verrà presentato alla manifestazione ufficiale di apertura dell’Expo di Milano. Avrà luogo nell’originaria sede dove la vigna di Leonardo era piantata e dove è avvenuto il ritrovamento dei resti delle viti native: la Casa degli Atellani in Corso Magenta 65.
Luca Maroni, una grande impresa la sua. Racconta come è andata?
Nel 1999 sono venuto a sapere della vigna donata da Ludovico il Moro a Leonardo nel 1498. Solo nel 2004 sono iniziati i lavori di ricerca fino a che sono arrivato ad identificare l’ultima parcella superstite del vigneto di Leonardo.
Una grande emozione.
Assolutamente. Ne rimasi stupito. E pensare che un tale tesoro era caduto nell’oblio.
Fatta la scoperta cosa fece?
Incontrai subito Letizia ed Anna Castellini, nipoti del Portaluppi, l’architetto che salvò nel 1920 la vigna dall’estirpazione e che la inglobò nella sua Casa degli Atellani. Chiesi alle nipoti notizie dei filari salvati dal nonno. Proprio durante il primo sopralluogo scoprii il punto preciso dove i filari erano piantati e il motivo della loro scomparsa.
Ossia?
Nell’agosto del 1943 Milano e la vicinissima Santa Maria delle Grazie vennero bombardate dagli alleati e quindi la vigna bruciò. Pensai subito che, visto il motivo della scomparsa, forse le radici originarie potevano essere rimaste nel terreno dopo l’incendio.
E a quel punto cosa fece?
Andai a parlare con l’allora sindaco Letizia Moratti che con grande entusiasmo assicurò il suo aiuto e istituì un tavolo di coordinamento tecnico-scientifico per il recupero del vigneto di Leonardo affidandomene la direzione.
E’ a questo punto che chiese l’appoggio dell’Università Statale e del professor Attilio Scienza?
Esatto, lui è il massimo esperto vivente di vite nel mondo. Attilio Scienza si rese disponibile alla direzione e alla conduzione scientifica della missione e per aiutarlo chiamò due dei suoi allievi: il podologo Rodolfo Minelli e la genetista Serena Imazio. Così iniziarono gli scavi.
L’esito scientifico degli scavi fu positivo?
Sì, i residui vegetali trovati ancora vivi e interrati nel sito originale erano della vite di Leonardo. I risultati della ricerca furono presentati in anteprima mondiale a Parigi il 27 marzo 2008 in occasione della serata di gala offerta dal Comune di Milano ai delegati internazionali del BIE. Tali funzionari, il giorno dopo, avrebbero dovuto votare per decidere la sede dell’Expo 2015, scegliendo tra Smirne e Milano.
Però a questo punto c’erano da reperire i fondi, giusto?
Già, dovevamo trovare fondi per l’individuazione del dna della vite di Leonardo. Questa fase si prolungò nel tempo senza un esito positivo.
Poi cosa successe?
Nell’ottobre 2013 Piero Castellini, fratello di Anna e Letizia, mi scrisse di voler ridar vita al vigneto di Leonardo reimpiantandolo nella Casa degli Atellani in maniera filologicamente identica all’originale. Volevano finanziare l’impresa tramite la Fondazione Piero Portaluppi.
Ripresero i lavori e si arrivò all’identificazione del dna della vite di Leonardo?
Sì, Malvasia di Candia Aromatica. A questo punto l’ultimo obiettivo era quello di individuare la specie, il clone di Malvasia di Candia Aromatica ancora esistente geneticamente più conforme alla nativa ritrovata.
Come avete fatto a individuarla?
La genetista Serena Imazio comparò il dna della vite originaria di Leonardo con quello di tutte le Malvasia di Candia coltivate oggi in Italia ed individuò le più rilevanti aderenze genetiche con un clone della Malvasia di Candia coltivato dal Consorzio di Tutela dei vini Doc dei Colli Piacentini. Ora le barbatelle sono nel laboratorio del Consorzio. Saranno rimpiantate tra una ventina di giorni.
Quando si potrà visitare la vigna di Leonardo?
Ci sarà una cerimonia ufficiale di apertura con l’inizio di Expo.
Una grande scoperta per gli amanti del vino e di Leonardo da Vinci.
Assolutamente. E’ un grandissimo patrimonio per la città. Io lo chiamo “vigneto diamante”, proprio perché ha un valore inestimabile. Ma sa cosa ho amato di più di questi undici anni di lavoro?
Cosa?
La qualità umana che è emersa da questa fantastica missione. Tutte le persone che hanno lavorato al progetto ci hanno messo l’anima e il cuore. Ogni volta che chiedevo aiuto a qualcuno per la vigna di Leonardo, le persone erano entusiaste di collaborare. Poi a me piace pensare che la vigna sia un modo per riconfermare la cittadinanza milanese di Leonardo. Un tempo si donavano proprietà per dare la cittadinanza a qualcuno. Infatti la vigna fu un dono di Ludovico il Moro.
Insomma Leonardo da Vinci torna ad essere milanese nel 2015 con Expo?
Sì, con la vigna viene rafforzato quell’asse Milano-Firenze-Roma, quell’alleanza solida tra le tre città da sempre detentrici del valore artistico e culturale italiano.
Luca, lei ha scritto “Milano È la vigna di Leonardo” un libro per raccontare la sua fantastica avventura. Come è strutturato il volume?
Ci sono varie sezioni. Si racconta la storia della vigna, le attività di recupero, vengono esaminati i codici di Leonardo, viene fatto un ritratto del personaggio e vengono ripercorsi i luoghi dell’artista. C’è poi anche una lista di “mia vocaboli” leonardeschi, nella quale sono raggruppati più di dieci mila parole. Questo è un documento unico, è uno dei primi vocabolari italiani.
Quindi il libro vuole essere anche un ritratto di Leonardo, oltre che della sua vigna?
Sì, vuole descrivere come viveva, le sue sensazioni del mondo. Parla dell’humanitas di Leonardo da Vinci, sollecitata dal suo rapporto con il vino.