Mentre apprendo che l’ultima tragedia di Lampedusa era nota almeno da fine agosto 2014, ripenso a quello che l’europarlamentare e deputato Matteo Salvini ha detto negli ultimi giorni. Lasciare i migranti al largo.
Mentre tutto questo accade, mi arriva una e-mail da un amico medico che mi segnala che nel “padano” Veneto i medici extracomunitari iscritti all’Ordine rappresentano circa il 16%. Sono in costante aumento, secondo il Presidente dell’Ordine di Verona. Medici che per iscriversi all’albo hanno superato anche il regolare esame di lingua italiana. Mi informo. Scopro che sono 15.000 i medici di origine straniera iscritti ai diversi Ordini d’Italia. Numeri destinati a crescere se non saranno riviste le condizioni d’accesso alla facoltà di Medicina e non sarà effettuata un’adeguata programmazione quantitativa e qualitativa della formazione specialistica. I medici italiani vanno all’estero perché le condizioni di lavoro e guadagno sono migliori.
Per un attimo penso a Matteo Salvini, non me ne voglia, in pericolo di vita accolto da un medico extracomunitario, in un ospedale italiano, in Veneto, e mi chiedo cosa accadrebbe se il medico adottasse la stessa misura dell’onorevole. Se il medico lasciasse il padano Matteo, che dice di ascoltare Fabrizio De Andrè ma forse solo la musica, senza cure. Come la prenderebbe? Provi a pensarci per un attimo onorevole Salvini.
Davanti a un fenomeno così complesso come quello dei flussi migratori, o meglio tratta di esseri umani o terzo affare globale planetario dopo armi e droga che permette un giro d’affari che vanno dai 7 ai 12 miliardi di dollari all’anno, come può un eurodeputato avere una visione tanto misera? Come potrà mai codesto uomo accingersi ad affrontare quello che per la stessa Unione Europea, per bocca del commissario all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos è una priorità di pari passo con il salvare la vita dei migranti in fuga? Questa non può essere politica. Questa è incapacità. Incapacità umana.
Il 28 febbraio ci sarà a Roma una manifestazione organizzata dal Carroccio (e altre partiranno nel fine settimana grazie ai “Fratelli d’Italia” di Giorgia Meloni) per chiedere lo stop agli sbarchi finché l’”Isis non sarà sconfitto e per ribadire la richiesta al governo e all’Alto rappresentante della politica estera europea Mogherini di porre immediatamente in discussione in sede Onu e Nato la necessità di un intervento militare volto a pacificare la Libia”. Un intervento militare. Daje che menamo! Menamo forte!
Posizioni di intervento che hanno visto coinvolti anche i Ministri di Esteri e Difesa che più volte hanno parlato come se l’Italia fosse pronta alla guerra alla Libia. Ma come credere che la guerra e le armi possano essere strumenti utili in situazioni in cui serve politica, diplomazia e cooperazione? Come non vedere che la violenza genera solo altra violenza?
Provo a fare un esempio di quello che intendo, che credo vedrà felice anche Matteo Salvini perché li “aiutiamo a casa loro”. Un progetto di cooperazione di Soleterre in Marocco in una baraccopoli in cui gli estremisti islamici reclutavano e facevano esplodere kamikaze. Parlo di Sidi Moumen, borgo di trecentomila persone e sessantamila famiglie. Area con il più alto tasso di crescita fra tutti i comuni urbani di Casablanca. Una baraccopoli in cui vivono ammassati e schiacciati uomini donne e bambini circondati dai palazzi della capitale, che ospita oltre cinque milioni di persone. Individui che vivono in condizioni di emergenze sociali nelle quali trova terreno fertile il reclutamento giovanile dei gruppi di estremisti. Jihadisti. Alla luce del sole. Tra fogne a cielo aperto e abitazioni precarie e senza acqua potabile, dove vengono offerte solo privazioni e il puzzo di fogna ricorda ogni giorno che sei più ratto che uomo.
Qui Soleterre ha impiantato progetti di educazione e assistenza sanitaria. Facendo crescere il livello di vita della popolazione sono diminuiti coloro che venivano reclutati dagli estremisti, sono nate associazioni locali e una prima risposta è stata data proprio da coloro che hanno abbandonato i gruppi radicali.