E ci risiamo. Di nuovo lei, l’autotrasportatrice con i pantaloni a fiori e i boccoli gentili. Il Fatto ne raccontò la storia due anni fa auspicando che nelle sue battaglie non venisse lasciata sola. Facili profeti. Il momento è arrivato, perché queste cose hanno una loro inesorabile puntualità. Bastano l’aria e il pretesto. Lei è Cinzia Franchini, presidente dell’associazione dei trasportatori della Fita, aderente alla Cna, la confederazione nazionale dell’artigianato. Balzata agli onori delle cronache, come si dice, per avere tenuto fuori la sua federazione dal movimento dei forconi del gennaio 2012, poiché le parentele di qualche leader siciliano le sembravano insidiose. E poi per avere affrontato a viso aperto la questione delle presenze mafiose nel settore degli autotrasporti.
Disse a Storie italiane: “La presenza mafiosa è stimata al 7-8 % del settore, siamo 103 mila, veda un po’ lei in termini assoluti”. Spiegò il rischio del riciclaggio e della concorrenza truccata. E notò che gli autotrasporti possono essere un’ottima copertura per i traffici illegali. Oltre che essere, aggiungiamo noi, una componente essenziale del celebre movimento terra, quel pezzo vitale di economia, dallo sbancamento dei terreni allo smaltimento dei rifiuti, in cui i clan si sono conquistati in tante regioni una sorta di monopolio armato. Ricevette pallottole in busta e minacce assortite. Il suo divenne un caso nazionale. Andò avanti, senza scorta. Ebbe subito solidarietà diffuse, ma altrettanto rapidamente non sentì più quasi nessuno. In ogni caso non ebbe “una sola parola di solidarietà da Unatras” la Federazione generale dei trasporti alla quale la sua associazione aderisce. Silenzi eloquenti, quando questa è la materia.
Ci augurammo allora che Modena, città civilissima, le si stringesse intorno. Che la sua associazione, e la Cna, la sostenessero con l’orgoglio di dire da che parte stanno. Non è andata esattamente così. Notizie di agenzia degli scorsi giorni annunciano provvedimenti della direzione della Cna contro di lei, la decisione di “dimetterla” perché getta fango sulla categoria. Ancora il maledetto tormentone. Ripassa davanti agli occhi il triste film che ha avvelenato l’Italia per decenni. Quel festival di sindaci tonanti che a vedere la mafia nella propria città si fa torto a cittadini “onesti e laboriosi”. Quegli appelli a diffidare di chi cerca la ribalta con “facili denunce”. Ecco. Il conto è arrivato. E ha il suo bravo pretesto.
Cinzia Franchini è stata convocata lunedì dalla Commissione parlamentare antimafia, in missione a Modena dopo il terremoto-bis che ha sconvolto l’Emilia, ossia quello giudiziario che ha svelato il livello di penetrazione dei clan nella regione più ricca dei celebri “anticorpi”. Ha spiegato ai parlamentari i rischi che si annidano nel suo settore, compreso quel movimento terra che pure in Emilia si è rivelato ottima prateria per le imprese in odor di mafia. “Mi hanno accusato di avere denunciato in quell’occasione la solitudine in cui sono stata lasciata dalla Cna. Di avere così gettato sulla confederazione una patente di mafiosità. Ma non è vero, in Commissione non se ne è parlato. A domanda dell’intervistatore, l’ho detto alla Gazzetta di Modena. D’altronde la mia federazione mi ha appoggiato, ma in Cna mai una riunione, mai una iniziativa sul tema che avevo sollevato, o sulle minacce subite”. Così è stato proclamato lo stato di indignazione contro la causa del disonore.
Che cosa avreste fatto voi, voi associazione, se accusati di operoso silenzio? Avreste tirato fuori, una per una, tutte le lettere, le mail di solidarietà e incoraggiamento mandate in questi due anni, mese dopo mese, alla presidente minacciata. Avreste snocciolato le prese di posizione assunte individualmente o collettivamente per iscritto dagli organi direttivi contro il rischio delle infiltrazioni mafiose. Enumerato le grida d’allarme lanciate. Citato i singoli casi in cui avete segnalato e chiesto di escludere imprese sospette. Poi, dopo avere esibito tutto questo, avreste detto “costei vaneggia”. Invece è solo scattata la reazione infastidita, la voglia di liberarsi – finalmente – di questa presenza scomoda e gentile, di inalberare l’orgoglio ferito di tanti imprenditori sani. Peccato. Perché con quello che è emerso in Emilia, e dopo lo sfregio inferto a Roma al volto antico dell’economia solidale, l’immagine della storica confederazione rischia un bel colpo. La forza della mafia sta fuori dalla mafia, come abbiamo imparato. Chissà che gioia un presidente intransigente in meno alla testa di 30 mila operatori. Che non chieda più conto di certe presenze ingombranti. E che lezione sarà per tutti.
Fortuna che in Veneto Unioncamere ha promosso con Libera una ricerca sulla criminalità mafiosa nella regione; e che a Padova, giusto giovedì scorso, il suo presidente ha denunciato in pubblico l’ansia di carriera che si nasconde dietro tante rimozioni, dichiarando che “non molleremo di un centimetro davanti alla voglia di conquista” dei clan. Altra aria, altre preoccupazioni, altri bersagli.
Il Fatto Quotidiano, 22 febbraio 2015