La quadratura della riforma arriverebbe dalle Regioni che, pur di colmare lacune nelle strutture ospedaliere, sono disposte a metterci soldi di tasca loro. Non vogliono pagare però i dirigenti, e lo specializzando sarebbe arruolato con la sola abilitazione. Si otterrebbe così un risparmio per i conti della Sanità, ma a scapito della certezza delle competenze maturate. Contrari gli accademici: “soluzione incostituzionale, la qualità a rischio”. La palla passa al Miur
Doppio canale e specializzandi in corsia. Per la specializzazione in medicina c’è una nuova riforma all’orizzonte: le Regioni vogliono contare di più, e sono convinte che la soluzione all’attuale discrepanza fra le borse di studio disponibili e il numero di laureati (il cosiddetto “imbuto”) sia l’accesso al Sistema sanitario nazionale con la sola abilitazione. Per ottenere ciò, gli enti locali sono disposti anche a pagare di tasca loro i nuovi contratti. Perché così si colmerebbero i buchi di personale negli ospedali sul territorio. E probabilmente si risparmierebbero anche risorse importanti sulle future assunzioni, ma questo – almeno ufficialmente – non lo ammette nessuno.
Del disegno di legge delega sull’ex art. 22, il cosiddetto “Patto per la Salute“, si discute da mesi (leggi il testo). Ora i tecnici delle Regioni che guidano il progetto (Liguria, Emilia-Romagna e soprattutto Veneto) hanno stilato la bozza (suscettibile ancora di piccole modifiche) che la settimana prossima dovrebbe essere approvata dalla Commissione Salute della Conferenza delle Regioni, per poi andare sul tavolo dei tre Ministeri interessati (Salute, Istruzione ed Economia). Si tratta di una vera rivoluzione per la specializzazione medica per cui il Miur ha già varato un piano di riordino importante (leggi) . La rete dei centri dove svolgere le attività di formazione verrà allargata alle strutture ospedaliere (fino ad oggi in numero esiguo); e i corsi saranno improntati maggiormente sulla pratica, con “l’inserimento dei medici specializzandi all’interno delle strutture, con graduale assunzione di responsabilità assistenziale”.
Ma la grande novità riguarda il cosiddetto “doppio canale”: oltre alle scuole tradizionali, le Regioni potranno finanziare dei contratti di formazione alternativi. Istituendo una nuova figura: lo “specializzando in corsia”. Questi neolaureati sono inquadrati (previo concorso) con un contratto di fascia non dirigenziale a tempo indeterminato, e nelle aziende ospedaliere svolgono attività mediche (e persino chirurgiche) di supporto. Quindi accedono in soprannumero ad una scuola di area sanitaria, dove conseguono la specializzazione in parallelo all’attività professionale. Al termine del percorso, come gli altri specializzati (con cui non sussisteranno differenze di titolo) hanno diritto a partecipare ai concorsi per dirigenti.
Il piano, in fondo, non è troppo diverso da quello che lo scorso autunno aveva suscitato grandi polemiche nel mondo universitario. Per questo sulla sua realizzazione restano dubbi. Le Regioni mirano ad avere più potere, come dimostra la proposta di assicurare una “componente paritaria” nella commissione di accreditamento delle strutture, oggi ad appannaggio degli atenei. E sostengono che il nuovo sistema risolverebbe al contempo il problema dell’esiguità delle borse e della carenze di personale negli ospedali: si creerebbero centinaia, forse anche mille posti in più l’anno. In ambiente medico, però, il timore è che la riforma sia una manovra per risparmiare e bandire meno concorsi da dirigenti: l’immissione di una cospicua massa di forza lavoro a basso costo e ciclicamente rinnovata, soddisferebbe le necessità dei reparti, con una contrazione delle assunzioni. E il fatto che le Regioni siano disposte a pagare di tasca loro i nuovi specializzandi conferma il sospetto. “Alla fine il risparmio sarebbe di circa il 50%, considerato che un contratto da dirigente costa intorno ai 45-50mila euro l’anno, mentre i giovani medici verrebbero pagati molto meno”, spiega un direttore di scuola.
L’allarme fra gli accademici è massimo: il Collegio dei presidenti delle scuole sta preparando una mozione, ancora riservata, che denuncia la “presenza di aspetti di incostituzionalità lesivi del ruolo dell’università” e sottolinea come “la proposta sembra orientata a conseguire risultati politici indipendenti dalla qualità della formazione”. Infatti resta da capire se un simile progetto sia in grado di ricevere il via libera dai Ministeri. Quello della Salute è d’accordo, il Mef potrebbe anche acconsentire, proprio in virtù dei possibili tagli sul lungo periodo. Più incerta la posizione del Miur: il ministro Giannini è propensa all’allargamento della rete formativa, ma solo qualche settimana fa ribadiva come la specializzazione medica “deve rimanere sotto il controllo delle università”. La bozza di legge dice altro, anche se per alcuni potrebbe trattarsi di un tentativo delle Regioni di “sparare alto”, per ottenere un compromesso favorevole. Dal Veneto, capofila del progetto, fanno sapere che l’obiettivo è portare a termine il piano in tempo per la partenza del prossimo anno. Di certo non sarà una riforma facile per la sanità italiana. E neppure indolore.