Di come funzionano le tecnologie poco si parla in Italia, soprattutto a livello politico. Eppure si tratta di temi che non possono essere riservati agli addetti ai lavori, visti i riflessi che hanno sullo sviluppo della nostra società. Tra essi si colloca certamente il tema della cosiddetta net neutrality, cioè del funzionamento aperto di Internet. È sotto gli occhi di tutti quanto sia diventato importante l’accesso alla rete e alle sue immense possibilità di conoscenza e di comunicazione. Fino ad oggi siamo stati abituati a navigare senza ostacoli. Con una buona capacità di banda ogni parte dell’universo del web può essere raggiunta. Le cose però in futuro potrebbero cambiare se dovesse essere messo in discussione il funzionamento aperto di Internet.
Il traffico dati potrebbe essere trattato in modo discriminatorio, con priorità e maggiore velocità ai servizi e ai contenuti scelti sulla base delle preferenze degli operatori di rete. Uno scenario preoccupante nel quale anche le affascinanti idee di una libera conoscenza e di una democrazia on line andranno a farsi benedire. Fortunatamente c’è almeno un paese nel quale l’argomento arroventa le discussioni tra i cittadini e le istituzione. Negli Stati Uniti la diffusa popolarità nazionale dei principi di neutralità della rete ha spinto anche il nuovo Congresso repubblicano ad abbracciare, contrariamente a tutte le previsioni, alcuni dei suoi concetti fondamentali. Con un disegno di legge in discussione nelle prossime settimane, i Repubblicani hanno proposto di vietare ai fornitori di banda larga la discriminazione del traffico web.
Tutto bene dunque? Non proprio. Il progetto di legge, che sembra far rispettare i principi fondamentali della neutralità della rete, mina in modo esplicito l’autorità legale della Federal Communication Commission (l’Autorità americana delle comunicazioni). Nel dettaglio, la proposta vieta la limitazione dei dati, il blocco e le corsie preferenziali su internet. In cambio però i fornitori di banda larga non dovrebbero essere più classificati ai sensi del titolo II del Communications Act (la legge fondamentale sulle telecomunicazioni) e quindi perdere la qualifica di “servizi essenziali per la comunità”. Così la Fcc non avrà più la competenza a regolarli, in barba anche all’idea di Obama di considerare Internet un servizio di pubblica utilità. In realtà i Repubblicani ritengono che la banda larga deve rimanere un “servizio di informazione”, una denominazione che offre meno possibilità di intervento per il regolatore. In sostanza, a chiacchiere i Repubblicani vogliono la neutralità della rete, mentre privano Internet di possibili maggiori tutele. Alcuni commentatori hanno addirittura ipotizzato che la proposta di legge sia il frutto di una scrittura dei lobbisti dell’industria delle telecomunicazioni per far fronte alla montante marea. Comunque la si voglia vedere la proposta rappresenta un punto di svolta nel dibattito.
La popolarità dell’argomento ha posto un problema ai Repubblicani che non possono sottrarsi all’ampio sostegno che nell’elettorato trova il tema della net neutrality. La gente infatti si sta rendendo conto che è venuto il momento di adottare misure significative e giuridicamente sostenibili per proteggere Internet così come lo conosciamo. Il problema è che vietando solo pochi tipi di discriminazione del traffico si finisce per legalizzare ogni altro tipo di discriminazione. Limitando i poteri dell’Fcc infatti si impedirà in futuro all’Autorità di tenere conto del dispiegarsi degli sviluppi del mondo della rete. Sarà solo la legge che vieta, mentre l’Fcc non potrà creare nuovi obblighi in capo ai grandi operatori di telecomunicazione. Fortunatamente, nessuna forza politica in America si sogna di andare contro la tutela dei consumatori e la correttezza della concorrenza. Quindi la grande discussione congressuale sarà sulle vere motivazioni alla base della proposta dei Repubblicani.
Solo un progetto di legge che costituisce un tentativo cinico di eliminare il potere della Fcc o invece una genuina iniziativa che introduce un vero cambiamento nel modo di pensare la politica di settore di quel partito? Certo, il disegno di legge non si avvicina a quello che gli attivisti di internet e i democratici chiedono. Evitando la classificazione come servizio essenziale della banda larga e lavorando per rendere impotente l’Fcc, il nuovo Congresso repubblicano sembra suggerire che non vuole veramente la neutralità della rete, ma solo agire di facciata. Sullo sfondo poi, il potere di veto del presidente Obama, che molto si è speso sull’argomento negli ultimi mesi. Ma anche se fosse, non sarà la fine del problema. A quel punto, i leader della Camera e del Senato richiederanno una rielaborazione bipartisan della legge. E sarà difficile per i Democratici resistere, perché il settore delle telecomunicazioni è straordinariamente generoso con i suoi contributi alle campagne elettorali. Secondo il Centro indipendente Responsive Politics, AT & T, Comcast e Verizon sono infatti tra i primi dieci spender aziendali in lobbying.
Il Fatto Quotidiano, 18 febbraio 2015