Da custode al capo dell’ufficio progetti con una laurea falsa. Ma anche con problemi psichiatrici, in cura da anni e sottoposto anche a un tso: “Mi sono reso conto che di fatto non c’era nessun tipo di controllo né in fase iniziale, né durante lo svolgimento del progetto, né a consuntivo”. A raccontarlo alla Nazione è Marco Borbotti, ex responsabile dell’ufficio progetti dell’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa, travolto dallo scandalo di un buco di almeno 3 milioni e mezzo di euro, sul quale – dopo l’esposto del direttore della struttura – indaga ora la magistratura.

Borbotti ha spiegato tutto il meccanismo al quotidiano toscano, anche se l’avvocato ha subito precisato che è affetto “da grave disturbo bipolare con sindrome maniacale, attualmente sottoposto a cura farmacologica. Ne consegue che le dichiarazioni rilasciate dallo stesso non possano ritenersi il frutto di una determinazione lucida e cosciente attesa la gravità della patologia in atto”, tanto che ha avuto anche altri processi finiti con il riconoscimento della sua incapacità di intendere e di volere. Nei mesi scorsi è stato sottoposto anche a trattamento sanitario obbligatorio (è stato dimesso a febbraio). Quello che è sicuro è che Borbotti – con tutto quello che dice il suo legale – è arrivato a ricoprire quel ruolo di responsabilità. E che è stato licenziato solo quando si è scoperto che non aveva la laurea necessaria per l’incarico ottenuto con un concorso interno (e non prima).

L’ex dipendente del Cnr racconta alla Nazione di essere entrato al Cnr nel 2007 come custode. Ha partecipato a un bando interno che prevedeva il possesso di una laurea e ha presentato un titolo di studio falso. A quel punto in due anni è diventato capo dell’ufficio progetti. “Veniva da me un ricercatore, proponendomi un progetto per il quale era possibile individuare uno sponsor – dice ai giornalisti – Io istruivo la pratica chiedendo l’anticipo di cassa e, dopo il vaglio della segreteria amministrativa, arrivavano i soldi. Ma presto mi sono reso conto che di fatto non c’era nessun tipo di controllo né in fase iniziale, né durante lo svolgimento del progetto, né a consuntivo. E dunque ho iniziato io stesso a proporre sponsor inesistenti e a dare corso direttamente alle richieste di finanziamento scrivendo ‘urgente’ sulle pratiche. E i soldi arrivavano regolarmente”. Ma l’istituto, aggiunge, non riusciva mai a rientrare degli anticipi versati per garantire la copertura finanziaria.

Il denaro che arrivava serviva “a pagare i progetti, i ricercatori, le borse di studio, le collaborazioni con numerose università e l’acquisto di macchinari all’avanguardia – conclude Borbotti parlando con la Nazione – Con questo sistema abbiamo contribuito a far funzionare l’istituto, che era pieno di debiti. Ma nessuno controllava”. Su tutte queste dichiarazioni sarà la Procura a cercare di chiarire.

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