Si faccia avanti uno di quelli che ti raccontano che Berlusconi è morto. Complimenti a un morto che viene condannato e non va in prigione, che perde le elezioni ma agguanta “le larghe intese” e piazza i suoi al governo (ci sono ancora tutti, uno fa persino le grandi opere), che firma il “Patto del Nazareno”, con cui diventa e resta socio di governo, che rompe il patto del Nazareno per allargare lo spazio di manovra (B. è tutto dentro, informato fino ai dettagli; B. è tutto fuori, libero di attaccare), che viene espulso dal Senato e abolisce il Senato, che aveva dato al paese una legge elettorale che esclude i cittadini e dà tutto il potere ai partiti, e adesso ottiene una “nuova” legge elettorale che esclude i cittadini e dà tutto il potere ai partiti.
Intanto controlla come sempre le grandi opere, che in questa Italia sono il cuore del governare, come ci dice Cantone. Inoltre il defunto Berlusconi dirige tre opposizioni, guidate rispettivamente da Fitto, Romani e Brunetta, che vengono raccontate come la triste storia della “la destra che si spacca”, ma sono pronte, con strategie variabili, per ogni evenienza. Intanto il governo provvede alle questioni fiscali di Mediaset, e Mediaset moltiplica il valore in borsa perché chi investe bada ai fatti, sa che Berlusconi conta e comanda anche quando appare afflitto, mentre sta iniziando il trentennio di un suo felice e ininterrotto lavoro di devastazione della Costituzione “comunista”. Certo, c’è un nuovo, giovane e brillante presentatore, di nome Renzi, efficace interprete del mondo di Berlusconi al punto da ripetere spesso la frase chiave: “Chi attacca il nostro lavoro non attacca me, attacca l’Italia” (segue celebrazione di stampa e tv). E se il nuovo presentatore ha appena annunciato la privatizzazione della Croce Rossa (insegnandoci quanto sia ridicolo e da vecchi dire: “Non sparate sulla Croce Rossa”), perché il clima non dovrebbe essere quello giusto per privatizzare un blocco molto grande (40 per cento) di editoria italiana, a opera e nelle mani di chi compra meglio e meglio garantisce la conduzione d’azienda?
Spiego l’uso, apparentemente improprio, della parola “privatizzare” quando parlo di una normale operazione di mercato in cui il pesce grosso mangia il pesce piccolo (o almeno più piccolo, e anche con la voglia di essere mangiato) e promette, dati i buoni precedenti aziendali, di fare un buon lavoro quando sarà padrone di molto e condizionatore di tutto. “Privatizzare”, in un Paese di interessi blindati, che è il solo conosciuto da chi ha vent’anni, e il solo politicamente praticato da chi ne ha trenta, non vuol dire concorrenza che migliora le opzioni del consumatore, e non vuol dire libero scrutinio e libera critica. Ha poco a che fare con un mercato in cui parti “avverse” sono in continuo rapporto di interessi comuni e progetti concordati, che dovrebbero far saltare sulla sedia tutte le autorità di controllo (tranquilli, il “nessun dorma” di Renzi riguarda gli operatori interessati, affinché profittino subito dell’attimo fuggente, non chi dovrebbe tutelare l’interesse comune e le regole, non i comprati e venduti delle imprese “liberalizzate”). Vuol dire schermare blocchi di interessi che pubblicità e cooperazione volontaria dei media fanno apparire privati, ma che hanno saldi legami, più o meno sommersi, con punti forti di governo e di partiti. È vero che la Mondadori è stata messa, subito prima del clamoroso annuncio, nelle mani di persone colte e decorose. Ma è impossibile non tener conto del simbolo (Marina Berlusconi) e del senso politico, immensamente più forte. È vero che Berlusconi, alla luce dei suoi meriti di statista, era tra i principali invitati all’insediamento del nuovo presidente della Repubblica. Ma è difficile dimenticare, in questa nuova situazione di conquista evidentemente concordata di un immenso potere sul leggere e lo scrivere del Paese, è difficile dimenticare la lettera dello scrupoloso consigliere di amministrazione della Rai Antonio Verro, in cui si avverte il presidente del Consiglio del “carattere antigovernativo” di certi programmi che stanno per andare in onda, e si consigliano modi di fronteggiare il pericolo arrivando a scegliere non solo i personaggi invitati a partecipare ai dibattiti (succede anche adesso) ma anche nel selezionare il pubblico presente, in modo da poter controllare gli applausi.
Purtroppo questa vicenda esemplare, scoperta in questi giorni dal Fatto (e ignorata da quasi tutti gli altri giornali) ci dice che in questa Italia dobbiamo ricordare che, in certi settori chiave “privato” significa “area o ente o impresa soggetta a forte protezione (interferenza direbbero altri) dell’apparato governativo e del potere politico” e sottratta al libero giudizio dell’opinione pubblica. Per questo gli autori si ribellano. E si ribellano i migliori direttori editoriali, troppo orgogliosi del loro lavoro e della loro capacità di restare indipendenti, dato il buon lavoro che hanno fatto. Ovvio che l’attenzione cada su Berlusconi padre, che è un gigantesco ferma carte postato sopra Segrate (e viene in mente il processo truccato, che ha attribuito ai Berlusconi la proprietà di Segrate, e l’immensa cifra dovuta da Berlusconi alla legittima proprietà, per la sentenza che aveva accertato il percorso falsato). Ma il punto è la vastità del nuovo blocco, e il cavo forte e potente che connette quel blocco, apparentemente privato, con la politica che ha dominato così a lungo l’Italia e, con un casta parzialmente nuova, continua a dominarla. Si può concludere che è inutile che gli autori si illudano perché queste sono cose che decide il mercato? Certo, qualcuno decide. Ma non il mercato.
il Fatto Quotidiano, 22 febbraio 2015