Il 26 febbraio festeggerà un anno. Sarà forse per questo, ma soprattutto per le pressioni sempre meno velate di associazioni e ambientalisti, che l’aula del Senato ha finalmente iniziato a lavorare sul testo di una legge che, nelle attese di Ermete Realacci, presidente della Commissione ambiente alla Camera e primo firmatario del disegno di legge sui delitti contro l’ambiente «dovrà corrispondere in tutto e per tutto alle attese nostre e di chi ha lavorato tanto per questa legge». Il testo torna in aula a Palazzo Madama domani, martedì 24 febbraio. Disastro ambientale e inquinamento, traffico di materiale radioattivo, confisca obbligatoria del profitto del reato, impedimento del controllo. Questi alcuni dei delitti che aggiorneranno il codice penale con un pacchetto di misure sugli ecoreati che prevede anche aggravanti per mafia e sconti di pena per chi si ravvede.
IL BLITZ SUL “RAVVEDIMENTO” DEGLI INQUINATORI. Proprio su quest’ultimo argomento si è giocata forse la partita più difficile e, se vogliamo, imprevista. A regolare la materia è l’articolo 452 octies, quello sul cosiddetto ravvedimento operoso, secondo il quale «le pene previste per i delitti (…) sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti di colui che prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi». Un blitz che verrà però vanificato dall’Aula domani, almeno così spera Realacci: «Il governo la pensa come noi – assicura a ilfattoquotidiano.it – e su questo argomento ho ricevuto le rassicurazioni del ministro della Giustizia Orlando». Un emendamento che non è andato giù neppure a Confindustria, ma per motivi opposti. Se da un lato, l’associazione plaude all’introduzione del principio del ravvedimento operoso, dall’altro contesta la tempistica prevista che «renderebbe irrealizzabile qualsiasi intervento». Il riferimento è alla possibilità data all’inquinatore di porre un rimedio al danno causato «prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado».
UN ANNO AL PALO. Il testo era stato approvato alla Camera il 26 febbraio 2014 e da quel momento era rimasto fermo al Senato nelle commissioni Ambiente e Giustizia. Fino a martedì scorso. Quando l’aula del Senato ha iniziato la discussione su 170 emendamenti e 40 sub-emendamenti. Molte delle richieste di modifiche sono state ritirate. Tra gli emendamenti approvati ne spiccano due: nel primo, a firma Felice Casson del Pd e riformulato dai relatori, si prevede l’aumento delle pene previste in caso di «lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale». Visto che il testo prevede il raddoppio dei tempi della prescrizione per i reati ambientali, di conseguenza aumenta anche il tempo dopo il quale scatta la prescrizione nel momento in cui l’inquinamento ambientale causa lesioni.
Un tema che era stato al centro del processo Eternit: da una parte i pm e giudici di primo e secondo grado, secondo i quali il reato il reato contestato al magnate svizzero Schmidheiny è continuato finché sono continuati i decessi (cioè ancora oggi); dall’altra il giudice di Cassazione, per il quale è cessato quando la Eternit ha smesso di inquinare (lo stabilimento di Casale è stato chiuso nel 1986). Così il processo è finito in niente con la prescrizione.
DA ETERNIT A PORTO MARGHERA, I PROCESSI AFFOSSATI O A RISCHIO. Un filone non da poco, come ha sottolineato un dossier di Legambiente. Proprio a ridosso della sentenza Eternit, infatti, l’associazione ambientalista ha messo in fila i principali ‘eco-processi’ italiani finiti prescritti o che erano a rischio prescrizione. Nella mappa «dell’ingiustizia compiuta», i processi erano 16. Tra quelli prescritti, trovarono posto nell’elenco la discarica Pitelli di La Spezia (prescritti corruzione e falso, e nel 2011 sentenza di assoluzione per tutti gli imputati accusati di aver avvelenato le acque), il petrolchimico di Porto Marghera; il processo Cassiopea; il processo sulla discarica del Vallone, a Campo dell’Elba; il processo Artemide relativo al traffico illegale di sostanze tossiche provenienti dallo stabilimento Pertulosa di Crotone; i mercanti dei rifiuti; operazione agricoltura biologica. Tra i processi a rischio prescrizione, segnalati dal dossier, troviamo: impianto di Colleferro; discarica Valle del Sacco; raffineria Tamoil a Cremona; disastro fiume Lambro; bonifica di Santa Giulia a Milano; processo Poseidon; processo relativo all’inchiesta sulla presunta gestione illegale dell’impianto a biomassa gestito dalla Riso Scotti Energia. Due, infine, i processi archiviati: petrolchimico Brindisi e operazione Mar Rosso.
Il reato di inquinamento ambientale è stato, invece, l’argomento del secondo emendamento, questa volta di Forza Italia e approvato dopo la riformulazione dei relatori. Secondo il testo, lo commetterà «chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili (anziché durevoli, come prevedeva prima il testo licenziato dalla Camera) dello stato preesistente: delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna».
LEGAMBIENTE: “SALTO DI QUALITA'”. Da semplici contravvenzioni, le “aggressioni” all’ambiente diventano reati, cosa che permette un forte aumento delle pene. Seppur con qualche distinguo, anche Legambiente esprime la propria soddisfazione per il testo rilasciato: «Sebbene ci siano dei punti migliorabili – dichiara Antonio Pergolizzi, coordinatore dell’Osservatorio nazionale ambiente e legalità di Legambiente – quello che mi preme sottolineare è che con questa legge per la prima volta il bene tutelato è l’ambiente e questo costituisce un salto di qualità. Ora, fatta la legge, non occorre trovare l’inganno ma lavorare affinché si rafforzino i controlli preventivi e il ricorso al penale diventi solo un’extrema ratio». Già nei giorni scorsi, Angelo Bonelli – co-portavoce nazionale dei Verdi – denunciava il rischio che «altri processi per disastro ambientale potrebbero saltare». La norma prevede anche l’allungamento dei tempi di prescrizione. Così da evitare il ripetersi di episodi come quello del processo Eternit e quello relativo alla discarica di Bussi, in Abruzzo.
Molto critica la posizione dei Verdi che giudicano la legge un provvedimento con poche luci e molte ombre. «È chiaro che i blitz che si sono registrati in Senato rivelano la presenza di una manina che ha voluto spengere le già poche luci che la legge portava – argomenta Bonelli –. Viviamo in un periodo di restaurazione delle politiche ambientali nel nostro Paese dove con la legge 91 del 2014 il ministro Galletti ha di fatto legalizzato la libertà di inquinare». L’introduzione dei reati ambientali nel codice penale costituisce una tappa importantissima per la lotta all’ecomafia. Proprio per questo i ritardi accumulati sino ad ora risultano incomprensibili. Prima di oggi, l’ultimo provvedimento sul tema risale al 2001, ossia 14 anni fa, quando vennero innalzati i massimali di pena relativamente allo smaltimento illegale dei rifiuti pericolosi.
LA LOBBY DI CONFINDUSTRIA. Un provvedimento che è alla base di tutte le maggiori inchieste sull’ecomafia degli ultimi anni e che ha permesso l’introduzione di strumenti come le intercettazioni telefoniche nelle inchieste giudiziarie. Ma perché si fa fatica legiferare su un argomento così importante? Le risposte sono molteplici. Da un lato si attacca Confindustria, e le lobby ad essa legate. Dall’altro, però, non può sfuggire un aspetto non secondario. Secondo uno studio dell’Associazione Openpolis, l’ambiente occupa la dodicesima posizione tra gli argomenti più trattati in Parlamento. Avanti solo ai temi dell’Unione europea, della salute e del diritto penale.
di Vincenzo Mulè