Il successo mondiale di Elena Ferrante (perché di successo mondiale si tratta) è una bellissima notizia per chi crede che la narrativa italiana contemporanea possa ancora offrire un altro modello culturale, meno mediatico, meno soggetto a interessi economici di breve durata, che forma il gusto del lettore anziché assecondarlo ad ogni costo. I lettori di questo blog avranno forse notato che una delle mie attività professionali è la traduzione, e tra le mie traduzioni Elena Ferrante ha nel mio cuore un posto particolare. Nel 2006, quando ho convinto il mio editore israeliano a comprare i diritti per “I giorni dell’abbandono” e “Amore molesto”, mi sono state poste le solite domande: come potremo promuovere un’autrice di cui non abbiamo una foto, che non possiamo invitare in Israele e a malapena possiamo intervistare via email? Lo tranquillizzai dicendo che la potenza di questa scrittura femminile sarebbe arrivata anche al pubblico israeliano, perché la Ferrante – come tanti autori italiani di fama mondiale – più è locale, più è universale.
Il pubblico israeliano ha accolto con grande entusiasmo questi libri e adesso che i primi due volumi del quartetto “L’amica geniale” stanno per uscire, mi sembra naturale poter riflettere sull’importanza politica del “fenomeno Elena Ferrante”. Il successo di questa autrice (poco importa se uomo, donna o anche altro, come diceva Crozza quando imitava Veltroni) non rispetta alcun meccanismo o graduatoria della cultura italiana degli ultimi vent’anni.
I suoi libri vengono pubblicati da una casa editrice di media grandezza, non esistono apparizioni televisive, lei non ha vinto ancora né il Campiello né lo Strega, dei suoi romanzi non si è fatta alcuna serie televisiva e non si conoscono le sue preferenze politiche. L’unica certezza sulla sua identità sono le origini napoletane, altro che Nord, Nord-Est, Padania, l’“eccellenza lombarda” come chiamava Formigoni la Lombardia sotto la sua discutibile amministrazione.
“L’amica geniale” è un quartetto napoletano, in una Napoli senza sentimentalismi, priva di addolcimenti, e anche le isole come Capri e Ischia, spesso percepite come cartoline del Sud, si rivelano al lettore in una bellezza precisa, crudele e molto italiana.
La decisione di pubblicare quattro libri, che seguono le due protagoniste dall’infanzia alla vecchiaia, è una sfida vinta contro ogni statistica italiana, che periodicamente annuncia la scarsa densità della lettura nella società italiana. Chi ha amato, comprato e letto “L’Amica geniale” ha dovuto farlo lungo quattro anni, nei quali un volume si raccordava all’altro, e una amicizia femminile è ritenuta degna di duemila pagine.
Per quanto concerne la sua importanza politica, ritengo che in una Italia maschilista un successo letterario di questa portata sia un buon inizio. Elena Ferrante fa parte di una tradizione di grandi scrittrici italiane, Morante, Ginzburg, Sapienza, Comencini, tutte autrici che hanno portato ai lettori italiani e non solo la complessità del mondo femminile.
Sì, giovani scrittori italiani, si può scrivere grande letteratura senza per forza passare in televisione, dal grande editore, in interviste dove si confessa un’infanzia sciupata o una vita sessuale spregiudicata.
Elena Ferrante è riuscita a dare alla sua Napoli una veste mitologica, non meno forte della Roma di Pasolini. Negli ultimi giorni Roberto Saviano e Serena Dandini hanno candidato la Ferrante al premio Strega. In questo caso la candidatura è già una vittoria. Nessun calcolo, pressione, interesse economico o altri trucchetti – che con la letteratura non hanno niente a che fare – potranno trovare una candidata o candidato migliore.