Katainen aveva promesso di tenere duro, e l’ha fatto: “Le politiche [dell’Eurogruppo] adottate finora non possono cambiare in base alle elezioni”. E infatti le anticipazioni sugli impegni che il governo greco intende assumersi per i prossimi mesi, più che rinnovare, sembrano confermare alcuni dei punti già previsti dal famoso (e famigerato) memorandum. Al contrario della soddisfazione espressa – chissà quanto sincera – e di quel che era stato detto da Tsipras e Varoufakis a margine della riunione dell’Eurogruppo di venerdì scorso, le misure che Atene adotterà per vedere confermata la proroga di quattro mesi strappata con i denti a Dijsselbloem non fermano le privatizzazioni (elettricità e porto del Pireo) e prevedono una riforma della pubblica amministrazione che non si prospetta completamente indolore. È così che il premier greco e il ministro delle Finanze sono ora impegnati nella ricerca di un altro compromesso, quello tra gli impegni presi e da prendere nei confronti delle istituzioni (cf. “Troika”) e le promesse fatte agli elettori prima delle votazioni di fine gennaio e nelle settimane immediatamente successive all’insediamento del governo.
Ovviamente, le reazioni in patria e all’interno di Syriza non possono che essere negative. All’interno della coalizione di sinistra cominciano a sorgere e a farsi sentire in modo sempre più forte quei malumori che già si erano manifestati in due precedenti occasioni: l’alleanza con i Greci Indipendenti di Kammenos e l’elezione a capo dello stato del conservatore Procopios Pavlopoulos. Le larghe (diciamo pure “larghissime”) intese non sono piaciute ai duri e puri del partito, che non hanno esitato nell’esprimere perplessità sulle prime mosse del giovane premier greco. Gli sviluppi delle trattative con l’Eurogruppo e le istituzioni, tuttavia, forniscono una possibile chiave di lettura delle contestate scelte di Tsipras.
L’impresa di Atene, chinando parzialmente il capo alle richieste dei creditori internazionali, è quella di provare a unire il rispetto degli impegni presi con le riforme annunciate e previste dal programma di Syriza, con cui ha vinto le elezioni, per risanare il Paese. La parola “impresa” non è scelta a caso, visto che si tratta di un obiettivo effettivamente complicato e difficile da raggiungere. Ma è proprio in quest’ottica che si può inserire, e pare avere più senso, l’alleanza con un partito di destra: i prossimi quattro mesi, al netto della retorica da periodo elettorale, non saranno facili per il popolo greco, ed è certo che le misure che Atene si troverà ad attuare genereranno impopolarità. Politicamente, le conseguenze di tali scelte potranno essere affrontate in modo bipartisan dalla coalizione di governo, sia a destra che a sinistra, con due partiti come protagonisti che, conferma (parziale) del memorandum o no, rompono con la tradizione politica che ha governato la Grecia fino a questo momento e ne ha procurato la quasi totalità dei problemi. Ma alle elezioni di gennaio i Greci Indipendenti non hanno certo raggiunto percentuali plebiscitarie. Ed è così che, nello stesso ordine di idee, si inserisce l’elezione di un conservatore famoso per la sua calma e tendenza alla pacificazione alla carica di Presidente della Repubblica. Tsipras, Pavlopoulos e Kammenos hanno in comune il dialogo e la lotta all’austerità che, messe da parte per un momento le differenze sul piano dell’appartenenza partitica, è la cosa che conta di più in Grecia in questa fase storico-economica.
L’abilità di Tsipras starà nel mediare rigore e sviluppo, generando crescita e provando a contrastare una crisi che, in alcuni momenti e alcune zone del Paese, ha assunto le caratteristiche di una vera e propria emergenza umanitaria. L’austerità ha già causato danni irreparabili ma, nonostante la parziale retromarcia, il pacchetto di riforme proposto da Syriza resta in piedi e prova ad andare in controtendenza (lotta all’evasione fiscale e alla corruzione, ripristino dei contratti di lavoro collettivi, protezione contro i licenziamenti) col passato, recente e remoto. La Grecia vuole restare nell’euro e l’Europa vuole che la Grecia ci resti. Con il benestare dei ministri delle finanze europei e dei parlamenti di Estonia, Finlandia, Germania e Olanda, nei prossimi decisivi giorni capiremo se e chi affonderà, il governo Tsipras o la Grecia (o entrambi). Oppure, auspicabilmente, nessuno dei due.