Oggi parlerò di Liguria e di politica, mosso dal blog di Pierfranco Pellizzetti e dalle mie origini. E mi scuso subito con chi segue questo blog, dedicato all’ambiente, se ne sarà infastidito. Dopo le tragiche alluvioni del 2010, 2011 e 2014 ho vissuto una profonda immersione nelle mie radici, che trascuravo da anni. Ho preso coscienza da vicino dei problemi della città e della Regione, che superano l’elenco minuto delle carenze e disfunzioni di servizi pubblici e infrastrutture, della timida iniziativa privata, del ricorso costante al tapullo da parte della mano pubblica. Parola intraducibile tapullo, un po’ rimedio provvisorio e un po’ toppa o lavoro fatto alla meno peggio, spesso in emergenza. E che produrrà nuove falle, anch’esse da tappullare.
Nell’archetipo della catastrofe idro-geologica italiana, che si è materializzato in Liguria negli scorsi anni ma che viene da lontano, molti vedrebbero la necessità di un cambiamento: «Addio politica del tapullo!» Consapevoli che il punto di non ritorno sia stato raggiunto. Che sia indispensabile costruire una nuova visione di territorio, con cui dare un significato alle parole sviluppo e progresso. Sembrava quindi incredibile che a guidare la Regione verso l’Orizzonte 2020 fosse scelto uno degli attuali assessori, per di più quello alle infrastrutture, alla protezione civile, alla difesa del suolo e ai rapporti con gli Enti locali. Horizon 2020 è una frontiera precisa posta dall’Unione Europea in campo scientifico ma non solo, che sa di ultima spiaggia per gli italiani tutti e i liguri in particolare. E orizzonte assessore sa di ossimoro.
Invece la risposta dei liguri nelle primarie è stata secca. E numerosa: 55 mila votanti sono una bella percentuale, di questi tempi: circa il 4% degli aventi diritto al voto. Pochi mesi fa, in Emilia Romagna, hanno votato alle primarie 58 mila elettori, meno del 2% dei potenziali e meno del 5% di quelli che hanno poi votato. Lì si era manifestato in pieno l’effetto apatia, mentre in Liguria la democrazia rappresentativa regge meglio. L’assessore Paita ha ricevuto l’investitura da parte di più del 2% dell’elettorato, mentre il Governatore Bonaccini fu indicato da un misero 1% dei suoi potenziali elettori.
Con un’affluenza alle urne dell’ordine del 50% non ci sarà gara: l’apatia incoronerà Paita. Verrà quindi santificata l’essenza del meccanismo delle primarie: chi le vince, si prende il piatto. È l’apoteosi della dottrina neo-liberista che teorizza i pregi della bassa affluenza alle urne dicendo di voler consolidare così la democrazia, come confidò qualcuno tempo fa: «Il vero problema dell’Italia consiste che si vota troppo spesso e sono ancora in troppi a votare». È lo stesso spirito che ispira l’attuale riforma costituzionale promossa dal governo: una democrazia che si consolida in oligarchia. Senza riflettere che in futuro questo sistema potrebbe penalizzare chi oggi lo impone.
Gli elettori di Paita non negano la profonda crisi della regione, ma hanno fiducia nella continuità dell’attuale governo, che gratifica le richieste dei medici primari abolendo il vincolo dell’esclusiva come gesto simbolico di fine legislatura in materia di sanità. Questi elettori sono convinti che le cause della crisi siano soprattutto esterne: lo schiaffo del mondo globale, il tallone dell’Europa matrigna e lo scherno dell’Italia distratta, che si sono messi tutti d’accordo col clima e con la malefica Genoa Low, il ciclone bloccato. E vedono nell’attuale stile di governo la miglior difesa contro il nemico esterno. E stanno sereni che la dottrina del tapullo terrà a bada il mondo che cambia.
Chissà se le elezioni liguri muoveranno la testa e il cuore della gente. Chissà se la gente si asterrà in massa, come capita sempre più. L’astensione da società evoluta premierà chi vuole un voto informato con cui continuare a comandare senza troppi intoppi, giacché perfino Franklin D. Roosevelt ammise un giorno che: «Presidents are selected, not elected.» Chissà se la gente, invece, voterà numerosa aprendo uno spiraglio all’alternativa, sempre che la si veda poiché né la sinistra iper-frammentata, né i liberali veri hanno trovato una sintesi attorno al Movimento 5 Stelle, che pur vale almeno un voto su cinque.
Un anonimo scrisse sul muro della Comunità di San Benedetto: «Il male urla forte.» Qualcuno aggiunse sotto, in risposta a quel tremendo graffito: «Ma la speranza urla ancora più forte.» E Don Andrea Gallo ne fu rincuorato: la speranza non muore mai.