Il Mezzogiorno, a mio modesto avviso, è come ‘La maggioranza invisibile’ inconsapevole, di cui parla Emanuele Ferragina, sociologo dell’Università di Oxford, nel suo omonimo libro. È un territorio dotato di risorse e potenzialità, oggetto di una disattenta e disorganica pianificazione. Quando c’è. Alcuni esempi: in epoca di federalismo fiscale, il Sud, che contribuisce per il 24% all’erario nazionale, riceve solo il 19% in termini di investimenti.
Così si intende rimediare al secolare divario esistente tra Sud e Nord del Paese? Altri esempi: gli investimenti nelle ferrovie o gli investimenti sugli asili nido. Assurdo? That’s Italy, “Very Bello” paisà…
In un suo interessante articolo, intitolato ‘Capitale sociale e Mezzogiorno‘, il sociologo calabrese prende in considerazione gli effetti devastanti che un federalismo fiscale mutilato degli aspetti di sussidiarietà orizzontale potranno avere sul Mezzogiorno.
La sussidiarietà puramente verticale configurata dall’ impostazione italiana del federalismo, inteso come mero decentramento fiscale, non può ‘federare’ il Paese se non puntellata da una sussidiarietà di tipo orizzontale, ossia la solidarietà fondata sul contrappeso inevitabile delle politiche sociali e assistenziali. Lo insegna il caso Belgio. Senza questo collante, secondo Ferragina, “l’idea di accrescere la competitività di un’area svantaggiata come il Mezzogiorno, in assenza di coesione sociale è solamente un mero richiamo retorico”. Il grave peggioramento del divario Nord-Sud viene discusso in termini scientifici, riportando che, in termini di reale “sforzo di spesa”, esso risulta “molto più elevato al Nord che al Sud. Tra il 1996 ed il 2007 sono stati spesi in media 14.349 euro per un cittadino del Centro-Nord e solo 10.195 per uno del Sud”. Lo svantaggio relativo del Sud aumenta se si considerano gli investimenti delle grandi imprese nazionali, inerenti: strade, ferrovie, energia, comunicazioni. Tale investimento sarebbe “addirittura al di sotto del valore del PIL prodotto dal Sud” per le “ferrovie e le aziende ex-Iri”. “L’analisi di questi dati dimostra inconfutabilmente come retorica politica e realtà del nostro Paese siano spesso divergenti. Il Sud è sempre stato svantaggiato, lo Stato ha sempre investito più al Nord e quando ha investito a Sud lo ha fatto male e in modo discontinuo”. La questione federalismo non può ridursi a un dibattito di carattere esclusivamente economico-fiscale, senza prendere in esame gli aspetti di inclusione e solidarietà.
Da Cavour, Agostino Depretis, Giolitti, passando per Mussolini, De Gasperi, fino al “compromesso storico”, la tendenza italica a formare ampie maggioranze convergenti al centro ha inficiato ogni possibilità di ottenere reali riforme e cambiamenti dell’approccio politico di impostazione risorgimentalista. In questi siparietti fatti di ipocrita “responsabilità”, si sono consumate ingiustizie come la legge Coppino (1877) sull’obbligatorietà dell’istruzione elementare “ideata in modo da restare inoperante proprio nelle zone più povere del Sud”. L’inclusione dei socialisti di Turati da parte di Giolitti permise, ad esempio, di godere di un’ opposizione “più che altro formale”. Nel frattempo, altri socialisti come Salvemini, apostrofavano Giolitti come “ministro della malavita”. A quegli anni risale l’allargamento del suffragio universale e la giusta istituzione dell’indennità parlamentare che consentiva a tutti di accedere alle candidature. Per poi scivolare nello scandalo attuale dei privilegi di casta. Un interessante capitolo quello su Mussolini, che da socialista massimalista, si convertì a sorpresa in fautore della repressione dei fermenti sociali, al soldo di industriali e proprietari terrieri. Attuando, d’altro canto, una politica di inclusione delle forze liberali, cattoliche e socialiste, compatibili con il Sistema. Scrive Leccese, “Mutatis mutandis, è quello che accadde anche nel 2013 con il governo di necessità formato da forze solo apparentemente incompatibili (Pd e Pdl) che esclude, per la conservazione del Sistema, i pericolosi sovversivi del M5S”. Il libro arriva a individuare nel trasformismo la cifra della prassi di Sistema in Italia, chiudendo con l’assassinio di Moro e la morte di Berlinguer.
Possiamo aspettarci qualche significativo cambiamento di rotta dagli epigoni di Depretis e Giolitti?