Cultura

Teatro, l’elettrocardiodramma’ di Capuano

leonardo capuano foto lucia baldini-8805 (1)Leonardo Capuano è solo sulla scena e guarda negli occhi lo spettatore, per trascinarlo in una storia che non sarà raccontata. Il protagonista del monologo ‘Elettrocardiodramma’ (produzione di 369 gradi e Armunia, visto al Teatro Argot di Roma nell’ambito della rassegna Dominio Pubblico) è vestito da donna, ma interpreta anche personaggi maschili, in una grande prova attoriale che abbandona il realismo per una leggerezza allusiva e poetica. Intorno al corpo sulla scena ruota un’intera famiglia, composta da una madre, presumibilmente anziana e malata e quattro figli. Capuano dà vita alle dinamiche interne al nucleo familiare, alle prese con le difficili cure alla donna e il problema dell’assistenza, adottando il punto di vista di uno dei figli, osservato nel suo rapporto con i parenti e con la ragazza che ama. La voce principale è quella balbuziente del protagonista, “un caro amico che ogni tanto mi racconta come gli vanno le cose”, come lo definisce lo stesso autore.

La scelta di un austero abito femminile suggerisce la centralità delle donne, nonostante lo spettacolo sia costruito sui personaggi maschili. Guardando alle due immagini del femminile si colgono anche le due anime del monologo di Capuano. La prima è senza dubbio la donna amata, figura lunare come quella del protagonista. Nella scena dell’innamoramento, pur con momenti ironici e di comicità leggera (per esempio quando rincorre la ragazza intorno ad un tavolo cercando di parlarle), lo spettacolo diventa poetico, per cambiare completamente registro quando al centro c’è la madre. Immagine prevalente del femminile, la madre è però una figura disturbante. La famiglia si stringe intorno a lei, che ne è l’elemento catalizzatore, ma paradossalmente anche la causa di tutte le tensioni.

È la madre a dover fare l’elettrocardiogramma cui si allude in un titolo che gioca sulla drammaticità della situazione. Alla comicità stralunata che domina tutto lo spettacolo si aggiunge il dramma “elettrico” di fondo, per cui la famiglia si trova a combattere una lotta fratricida. Dalla festa iniziale, in cui i parenti si riuniscono per ballare, si arriva al gioco dell’ultima scena, in cui tutti sono pronti ad uccidersi a vicenda. La famiglia si sgretola dietro alle difficoltà dell’assistenza e al dramma della malattia, mentre l’unica superstite sembra essere la madre. Capuano li rappresenta tutti in un surreale gioco al massacro, intenti a decidere chi dovrà uccidere chi senza che ci sia nessun superstite.

Ma dalla tragedia si riesce a sfuggire seguendo almeno due direzioni. La prima è quella della comicità, che nel suo avvicinarsi al dramma conquista toni elevati. La seconda, la più importante a livello drammaturgico, è segnata dalla via dell’allucinazione, di cui il protagonista vorrebbe liberarsi, magari con il medicinale miracoloso che chiede al farmacista in uno dei momenti più riusciti dello spettacolo. L’ipotesi della schizofrenia potrebbe essere una chiave di lettura della vicenda, ma è soprattutto un’immagine del teatro, nella sua natura più profonda.