Dal gratuito patrocinio ai corsi universitari: migliaia di lavoratori a servizio di amministrazioni pubbliche, comuni ed enti locali rimangono in attesa del compenso. Anche per anni
Avvocati d’ufficio, docenti, revisori dei conti, custodi giudiziari, architetti, ingegneri, maestri di scuola: tutti in attesa di essere pagati dallo Stato. Dimenticate il capitolo, già doloroso, delle imprese. La coda dei creditori della Pa è anche e soprattutto un fiume di carne, volti e professioni: una coda virtuale talmente lunga che messi in fila i nomi formerebbero un serpente lungo chilometri, con cifre stellari. I numeri dei tempi d’attesa sono a tre zeri, e la crisi economica gonfia il contatore, tanto che nell’ultimo anno in molti hanno gettato la spugna: 180 giorni per i commercialisti; 217 per gli architetti; 90 per i docenti a contratto; da sei mesi a quattro anni per gli avocati. Gli ultimi, in ordine di tempo a chiedere un intervento urgente.
Gli avvocati – “Volete vedere come si viola la Costituzione ogni giorno? Fatevi un giro nei tribunali”, spiega Mirella Casiello, presidente dell’Organismo unitario dell’avvocatura. Formalmente si chiama “patrocinio a spese dello Stato”, semplificando è l’avvocato d’ufficio concesso a chi non può permettersi un legale. Funziona così: sotto un livello minimo di reddito – e condizioni effettive – sia l’imputato che l’offeso possono farne richiesta, e la parcella è a spese dello Stato. “Solo che di fatto, si lavora gratis per anni”, spiega Roberto, avvocato del foro di Torino: “Qui i tempi di attesa sono di 36 mesi. E non dal momento in cui vieni scelto, ma da quando finisce la causa”. L’onorario, infatti, viene saldato solo alla fine del procedimento. “In media 3-4 anni, durante i quali devi sostenere da solo tutte le spese, poi inizia la trafila vera e propria: devi fare istanza al giudice, che decide da solo quanto devi essere pagato, dopodiché si passa all’ufficio pagamenti, e da lì altro tempo in attesa che arrivino i soldi”. Ad attenderli sono a migliaia.
La cassa forense stima in 180 milioni l’arretrato nei confronti di una marea di avvocati, soprattutto i più giovani. “È il primo sbocco di chi entra nella professione”, continua Roberto. La cifra è destinata a salire. “La crisi ha fatto esplodere il fenomeno”, spiega Casiello. Stando ai dati della direzione della giustizia penale dal 2007 a oggi il numero di persone a cui è stato concesso un avvocato d’ufficio sono aumentate del 32 per cento, solo nel 2013 sono stai 129 mila, mentre gli onorari sono scesi notevolmente: oggi un patrocinante prende in media 600 euro per una causa. Non esistono minimi, e tutto è lasciato alla discrezionalità dei giudici. Un decreto del 2012 ha imposto di tagliare del 50 per cento i parametri di riferimento.
Dopo le proteste, nel 2013 la legge di stabilità ha ridotto il taglio ad un quarto. “Solo che non ha abolito il precedente – continua Roberto – e così adesso ti applicano prima il 50 e poi il 25 per cento”. L’Oua ha chiesto al ministro di intervenire per evitare il collasso. Stando ai dati, infatti, negli ultimi tre anni, mentre le richieste aumentavano, i costi fatturati sono rimasti fermi. La differenza ce l’hanno messa gli avvocati. “Il paradosso – spiega Eleonora, del Foro di Roma – è che abbiamo la legge più evoluta d’Europa, quella che ti permette di sceglierti l’avvocato, e non vedertelo imporre dallo Stato, anche se non puoi permettertelo: è una conquista enorme. Poi però nessuno ti paga e così diventa impossibile lavorare, con buona pace dell’articolo 24 della Costituzione, che garantisce ai non abbienti ‘i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione’”. “Io difendo senza tetto, tossici e categorie in difficoltà, e mi pagano meno di un muratore”, spiega Luca, del Foro di Milano. La cassa forense ha chiesto al governo di poter anticipare allo Stato i soldi degli arretrati, scontandoli dalle ritenute da versare all’Erario, ma il progetto è rimasto sulla carta, così come i tentativi di trovare un accordo con le banche.
Come se non bastasse, nei giorni scorsi è diventata obbligatoria la negoziazione assistita – cioè il tentativo di mediazione prima del processo – dove per legge l’onorario dell’avvocato d’ufficio non è previsto. Nel caos succede anche che a Torino la corte d’appello chieda all’Agenzia delle Entrate se deve versare l’Iva direttamente all’Erario (lo split Payement), e nell’attesa blocchi tutti i pagamenti. Il Ministero non ha voluto commentare, eppure il 20 per cento di tutti i debiti non pagati è contratto con chi ha prestato assistenza ai non abbienti.
I commercialisti – I patrocinanti a spese dello Stato non sono soli. I Tribunali, per dire, hanno dimenticato anche i commercialisti: loro attendono centinaia di milioni. Tralasciando i ricchi studi, sono centinaia i professionisti che lavorano per la Pa: revisori dei conti in migliaia di Comuni, province e società partecipate. “La situazione peggiore è negli incarichi giudiziari”, spiega Raffaele Marcello, del Consiglio nazionale dei commercialisti. Ogni anno i tribunali siglano contratti di consulenza o affidano la custodia giudiziaria di aziende infiltrate dalla criminalità a esperti commercialisti, salvo poi pagarli con enorme ritardo: 180 giorni per gli ausiliari di giustizia, altri 90 se la posta è a carico delle parti del processo, fino ad arrivare a quattro anni per i custodi giudiziari, se a dover pagare è l’Erario.
“Persone a cui viene richiesto un lavoro delicatissimo per conto della giustizia – spiega Domenico Posca, presidente dell’Unione italiana dei commercialisti – e ricevono la parcella dopo 48 mesi. Intanto vengono tassati per cassa, quindi sono spesso in perdita considerati i costi”. Peggio ancora va negli Enti locali, dove c’è l’obbligo di avere un revisore ma le parcelle sono crollate. “Ho lavorato per numerosi comuni – spiega Alberto, commercialista di Viterbo – l’onorario è di 1500-2000 euro l’anno, e ti pagano quello dopo perché a ottobre bloccano le operazioni per poter poi chiudere i conti a novembre. La mole di lavoro è impressionante, mi creda, non ce la si fa”.
La crisi ha ingolfato gli albi a disposizione degli Enti e il patto di stabilità li ha costretti a complicate operazioni per comprimere i costi e dilazionare i pagamenti: “Se il dirigente fa una cazzata che magari ti sfugge rischi una condanna per danno erariale, la beffa oltre il danno”. Peggio ancora va nelle centinaia di società di servizi pubblici Inhouse, formalmente fuori dal perimetro, ma controllate al 100 per cento dagli enti locali. Nel suo studio (Commercialisti 2.0, Giuffre) Posca ha provato a fornire dei numeri: solo un terzo dei commercialisti viene pagato regolarmente (cioè 60-120 giorni), il restante è ampiamente fuori (24-36 mesi). La stima più attendibile supera i 300 milioni di euro di arretrati storici verso la sola Pa.
Gli architetti e i docenti universitari – I vincoli di bilancio stanno mettendo in ginocchio anche gli architetti. Qui i tempi di attesa superano i 200 giorni (erano 129 nel 2010 e 90 nel 2006); e, stando ai dati, il 32 per cento degli studi è creditore dello Stato. Il meccanismo è semplice: il Comune chiede un progetto, salvo poi bloccarlo per non sforare il patto di stabilità. E così gli arretrati sono cresciuti a dismisura. Nel variegato bestiario dei creditori la menzione di merito va però ai docenti a contratto nelle università italiane: un esercito di 26mila persone (dati 2013, ma i numeri sono in crescita), asse portante di un sistema che ne abusa da anni. Per aggirare i vincoli al turn over gli atenei di tutta Italia ricorrono sempre più spesso ai contratti precari: sei mesi o un anno, cioè la durata di un corso, esami compresi. Il costo si aggira tra i 50 euro lordi orari della Sapienza e i 25 di Pescara, il minimo legale per corsi che in media non superano le 75 ore l’anno (900 euro netti).
“In molte università, soprattutto private – spiega Luisa Paternicò, docente a contratto di Cinese alla Unint di Roma – rappresentano l’80 per cento dei docenti. Purtroppo in quelle pubbliche i ritardi arrivano fino a un anno. A volte non pagano proprio o bandiscono contratti gratis”. “Visto che devi fare il pendolare – spiega Oliviero, contrattista a Milano – in pratica ci perdi solo soldi, perché non hai rimborso spese: lo fai per la gloria e il curriculum”. Se decidessero di incrociare le braccia per riavere indietro decine di milioni – calcolano le associazioni – gli atenei non potrebbero neanche aprire. Stesso discorso per la scuola, dove le supplenze vengono pagate con ritardi fino a sei mesi (500 milioni l’arretrato), e la Cgil Toscana, esasperata, ha chiesto agli insegnanti di mandare le bollette direttamente a Matteo Renzi.
Da Il Fatto Quotidiano del 23 febbraio 2014