Il 27 marzo 2014, in San Pietro, 492 parlamentari e una trentina fra ministri e sottosegretari hanno partecipato ad una messa officiata da Papa Francesco. Così, se non proprio tutta, gran parte della classe politica italiana si è sentita rivolgere un’omelia sferzante contro la corruzione, introdotta dall’ammonimento evangelico su chi non ascolta e procede ostinatamente secondo il suo cuore malvagio. I politici presenti all’omelia certamente non sono tutti di cuore malvagio, ma di ascolto si direbbe che ne abbiano prestato poco. Difatti è passato quasi un anno, ma ancora imperversano sofismi, alibi e veti incrociati che in buona sostanza continuano a respingere ogni tentativo (anche i meno audaci) di dettare norme più efficaci contro la corruzione.
Ovviamente attività politica e religione devono rimanere distinte, altrimenti c’è il rischio di un corto circuito, di sostituire le leggi dello Stato con il Vangelo. Ma distinzione significa che la politica, pur dovendo restare autonoma (non è nel Vangelo che si possono trovare le soluzioni tecniche dei vari problemi che essa deve affrontare), può trovare orientamenti anche nell’omelia del Papa. Specie se si va in massa (guai a mancare …) a prendere messa da lui. Nei tantissimi interventi di papa Francesco in tema di corruzione abbondano le parole chiare ma dure, spesso spietate. I corrotti sono “putredine verniciata, devoti delle dea tangente”. Corruzione è “non guadagnare il pane con dignità” e ai figli dei corrotti tocca “ricevere come pasto dal loro padre sporcizia”. Dopo la tratta delle persone il delitto più grave è proprio la corruzione, “cancro sociale profondamente radicato nei governi, nell’imprenditoria e nelle istituzioni; una pratica abituale nelle transazioni commerciali e finanziarie, negli appalti pubblici, in ogni negoziazione che coinvolga agenti dello Stato”. Parlare di “pratica abituale” è riconoscere che la corruzione non è riconducibile ad un circolo delimitato per quanto esteso, ma è sempre più un vero e proprio sistema. Sul piano legislativo significa che occorrono regole rigorose, non confuse e annacquate, che riescano a rendere la corruzione non conveniente. Sia per la definizione delle fattispecie penali, sia per la certezza della pena e le sanzioni. Queste secondo papa Bergoglio sono “come una rete che cattura solo i pesci piccoli, mentre lascia i grandi liberi nel mare”. Va poi contrastata “qualsiasi sorta di ostacolo frapposto al funzionamento della giustizia con l’intenzione di procurare l’impunità per le proprie malefatte o per quelle di terzi”. Se non fosse un accostamento irriverente, si potrebbe persino cogliere una qualche eco di tesi care alle … toghe rosse in tema di lungaggini processuali e prescrizione. Illuminanti le parole del Papa sulle nefaste conseguenze delle “cricche della corruzione, che con la politica quotidiana del ‘ do ut des’, dove tutto è affari, producono ingiustizie che causano sofferenza” alle persone. Il corrotto, mentre con una mano finge di dare, “con l’altra ruba allo Stato e ai poveri”. Chi paga per questo? “Pagano gli ospedali senza medicine, gli ammalati che non hanno cura, i bambini senza educazione”.
Il Papa ci ammonisce. La povertà cresce in misura esponenziale. Colpa della crisi economica, ma un ruolo decisivo ha pure l’illegalità, che con la crisi interagisce in un circolo vizioso di reciproca incentivazione. L’illegalità economica in tutte le sue declinazioni – corruzione, mafia, evasione fiscale – non è soltanto violazione di norme di legge e precetti morali (non rubare!) ma anche devastante impoverimento della collettività. Perciò la legalità ci conviene, in quanto precondizione essenziale per concrete prospettive di una giustizia distributiva che possa diventare pratica vera e non solo illusione. Dice ancora il Papa: “Preghiamo tutti quanti per avere la forza di continuare a lottare contro la corruzione. E questo deve partire da dentro, dalle coscienze, in modo da risanare i comportamenti, le scelte, il tessuto sociale. Così che la giustizia guadagni spazio, si allarghi, si radichi e prenda il posto dell’iniquità”. L’autorevolezza e credibilità di Papa Francesco possono trasformare le sue esortazioni in vere attitudini civili e cristiane.
I politici, quanto meno quei tanti che hanno assistito alla sua messa un anno fa, potrebbero cominciare con un po ’ di “bonifica” al loro interno. Quanto meno facendo tesoro anche qui delle parole (persino generose) del Papa, secondo cui “il corrotto non percepisce la sua corruzione, proprio come succede con chi ha l’alito cattivo: sono gli altri a doverglielo dire”. Dunque, che i politici trovino la forza per dire ai loro colleghi in odore (o peggio) di corruzione, che hanno l’alito cattivo. E devono farsi da parte.
il Fatto Quotidiano, 24 Febbraio 2015