Passare da un operatore telefonico ad un altro, sia fisso che mobile, comporterà nuovamente il pagamento di una penale. La beffa è contenuta nel ddl Concorrenza varato lo scorso venerdì dal governo Renzi che, nato per proseguire la politica di liberalizzazione di numerosi settori del mercato dopo le lenzuolate targate Bersani del 2007, elimina invece proprio la gratuità prevista per tutti gli utenti che decidono di disdire il contratto prima della scadenza.
Tutto è racchiuso nelle poche righe dell’articolo 16 (Eliminazione di vincoli per il cambio di fornitore di servizi di telefonia, di comunicazioni elettroniche e di media audiovisivi) che al comma 3-ter recita: “Nel caso di risoluzione anticipata, l’eventuale penale deve essere equa e proporzionata al valore del contratto e alla durata residua della promozione offerta”.
Parole che spazzano via sia le indiscrezioni emerse prima del Consiglio dei ministri (che parlavano di costi di recesso eliminati o fortemente ridimensionati), che quanto previsto dalla legge Bersani che, “garantendo la facoltà del contraente di recedere dal contratto o di trasferire le utenze presso un altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate da costi dell’operatore”, prevede che per cambiare gestore si paghino solo i costi tecnici dovuti all’eventuale disattivazione.
Un’amarissima sorpresa che di fatto rende molto onerosa una delle poche chance che i consumatori hanno avuto fino a oggi per sfruttare proprio la concorrenza. In questi ultimi anni, infatti, è stato proprio nel settore della telefonia che si è concretizzata appieno l’anima del libero mercato, caratterizzata da una sfida a colpi di promozioni e sconti con cui i vari gestori hanno cercato di attrarre nuovi clienti che, dal canto loro, hanno assai gradito la possibilità di risparmio, cambiando operatore più volte nel corso degli anni. E, ora, invece, spunta questo rovescio ai danni dei consumatori, contenuto proprio in un testo pensato per facilitare la concorrenza, eliminare gli ultimi vincoli e ridurre al minimo le spese sostenute in caso di recesso.
La speranza dei consumatori era chiara: risolvere le diverse pratiche commerciali scorrette che si sono comunque registrate in questi anni, nonostante l’abolizione dal 2007 delle penali per la disattivazione delle linee telefoniche. Gli operatori hanno, infatti, continuato a imporre i cosiddetti contributi di disattivazione che in alcuni casi superano gli 80 euro .
Quali saranno ora le conseguenze se il Parlamento approverà il ddl? Prima di cambiare operatore per godere di offerte più convenienti, dunque, ci si dovrà pensare a lungo per evitare di pagare una penale per disdire il contratto.
A fare i conti di quanto peserà nelle tasche dei consumatori dire addio alla legge Bersani ci ha pensato Altroconsumo. Secondo quanto ha spiegato il responsabile dei rapporti istituzionali Marco Pierani, prima a Repubblica e poi al Corriere, la penale potrebbe anche “andare oltre al centinaio di euro”: l’importo che verrà determinato sulla base dei mesi che restano e di quanto era stato pattuito in sede di stipula.
“Paradossale – attacca ancora Pierani – ci aspettavamo un passo avanti a favore degli utenti e invece è un passo indietro. E’ una beffa”. Poco importa che sempre nelle poche righe del comma del ddl sia previsto un dettaglio dalla parvenza vantaggiosa per i consumatori, quando si spiega che “il contratto stipulato, ove comprensivi di offerte promozionali, non può avere durata superiore a ventiquattro mesi”. Se, infatti, si potrebbe pensare che diventi molto più veloce recedere, Altroconsumo mostra l’altro lato della medaglia: “Si rischia così di blindare tutte le offerte ai due anni per non far pagare la penale”.
Un affondo, questo di Altroconsumo, che si accompagna a un chiaro messaggio: “Faremo una battaglia strenua in Parlamento, in fase di conversione in legge, per bloccare l’applicazione delle penali”. Una nuova lotta per le associazioni dei consumatori dopo quella che ha fatto slittare di tre anni la liberalizzazione del settore energetico. E in questo caso il governo ha ascoltato le indicazioni.
Senza arrivare nei Palazzi, l’allarme lanciato da Altroconsumo ha già però ottenuto dei risultati. In mattinata è arrivata una nota del ministero dell’Economia che smentisce la penale per chi recede dai contratti di abbonamento a telefoni fissi e mobili, internet o a pay-tv e precisa: “Il ddl Concorrenza non cambia le disposizioni generali in materia di recesso anticipato dai contratti, ma disciplina i costi di uscita dalle sole promozioni relativi ai medesimi servizi (come l’uso di uno smartphone o le partite di calcio gratuite)”. In particolare il Mise tiene a far sapere che lo scopo della norma è “rendere ancora più trasparente i costi di uscita in capo ai clienti promuovendone la mobilità”.
Saranno sollevati, quindi, i milioni di consumatori che, tuttavia, oltre a doversi smarcare dalle insidie che ci sono nella giungla delle gestori telefonici, devono però continuare a rapportarsi con una normativa che, scritta in ‘burocratese‘, genera confusione. Resta, infatti, il punto che nel testo del decreto non si spiega chiaramente che la novità riguarda solo “i costi di uscita dalle sole promozioni” (come precisato dal ministero), ma il testo riporta solo che “il contratto stipulato con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica ove comprensivi di offerte promozionali non può avere durata superiore a ventiquattro mesi. Nel caso di risoluzione anticipata si applicano i medesimi obblighi informativi e i medesimi limiti agli oneri per il consumatore di cui al comma 3, ultimo periodo e, comunque, l’eventuale penale deve essere equa e proporzionata al valore del contratto e alla durata residua della promozione offerta”.
(Ultimo aggiornamento alle ore 14,30 del 24 febbraio)