La società della galassia Fiat che produce carri armati e veicoli per scopi militari punta a raggiungere 1 miliardo di euro di fatturato traendo vantaggio dall'esigenza del ministero della Difesa di avere prodotti ad hoc per le forze armate. Progettati grazie a fondi messi a disposizione dal Tesoro
Iveco è una vera e propria macchina da guerra. Non tanto per le vendite di camion e trattori, quanto per la produzione di carri armati e veicoli per scopi militari. Iveco Defence Vehicles è infatti un piccolo gioiello di casa Fiat custodito all’interno della Cnh Industrial, la società olandese che ha incorporato Iveco. Il suo giro d’affari supera i 600 milioni e si muove spedito verso il target del miliardo di euro, quasi un ottavo del fatturato della divisione truck e veicoli commerciali di Cnh. E non potrebbe essere altrimenti: a favorire la società controllata dagli Elkann–Agnelli sono i venti di guerra che spirano sul Mediterraneo e nella vicina Ucraina e l’esigenza dell’esercito di avere prodotti sempre più sofisticati, sviluppati dall’azienda in collaborazione con la Difesa e con fondi per l’innovazione stanziati dal ministero del Tesoro.
“Iveco Defence Vehicles è un’eccellenza italiana nei veicoli terrestri”, ha spiegato nei giorni scorsi l’ad della società Roberto Cibrario Assereto in un incontro romano al Centro Alti Studi Difesa dove per la prima volta si è parlato senza mezzi termini di collaborazione fra industria e Difesa in un contesto internazionale e nazionale altamente instabile. “In questa fase c’è bisogno di nuovi investimenti e c’è la necessità di finanziamenti certi. Non possiamo vivere in una situazione di attesa: l’indecisione danneggia l’industria più dell’assenza di contributi”. Il denaro pubblico, in sostanza, serve a sviluppare nuove tecnologie di cui però diventa proprietaria la società. Non sorprende quindi che la posizione di Iveco Defence Veichles sia condivisa anche da Beretta e Finmeccanica che, nel corso del convegno, hanno chiesto alla politica di prendere decisioni concrete sul tema dei finanziamenti per lo sviluppo di nuovi prodotti a servizio della Difesa. “Perchè se esiste un problema di sicurezza, va affrontato con polizia e militari, ma anche con gli adeguati mezzi industriali”, ha spiegato Guido Crosetto, presidente della federazione Aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad).
In attesa di novità dal Tesoro, Iveco Defence Vehicles ha però annunciato che andrà avanti con i progetti attualmente in cantiere prospettando l’arrivo di un nuovo carro blindato Centauro a giugno. “Siamo un’eccellenza italiana che vuole restare in questo Paese”, ha aggiunto Cibrario, che ha chiesto al governo Renzi di difendere in sede europea l’industria bellica terrestre italiana. “Abbiamo sviluppato competenze uniche e riconosciute come testimonia il fatto che il 70% del nostro fatturato è realizzato all’estero – ha sottolineato il manager – Bisogna tener ben presente questo aspetto quando si parla di integrazione europea perché c’è già oggi un veicolo leggero che corrisponde agli standard internazionali” adeguati ad un esercito unico europeo. Per gli Agnelli-Elkann, del resto, gli affari della Difesa, sono da sempre strategici quanto l’auto: se infatti la Fabbrica italiana autovetture Torino risale al 1899, quella di armi al 1915. Con un primato storico: la produzione della prima mitragliatrice con la Officine Villar Perosa, fabbrica di cui il senatore Giovanni Agnelli controllava la maggioranza.
Negli anni poi l’esperienza è cresciuta soprattutto nell’affiancamento dei boots on the ground, la fanteria che, in versione europea, il presidente Usa Barack Obama vorrebbe più attiva in Medio Oriente. Oggi gli esperti della Difesa sanno bene che Iveco Defence è un gigante del settore, seconda in Europa solo alla tedesca Rheinmetall che, durante la Seconda Guerra, equipaggiava la Wehrmacht. Tuttavia del gruppo, che conta su tre stabilimenti (Bolzano, Vittorio Veneto e Piacenza) oltre a sedi produttive in Spagna, Russia e Brasile, si parla poco o nulla. Anche perché i risultati della società, che realizza il 70% del fatturato all’estero, non sono separati dalle attività di macchine agricole e dei camion della Iveco. “Le cifre della divisione difesa nel bilancio di Cnh non sono dettagliate – spiega un analista – ma è certo che anche questo segmento contribuisce al miglioramento dei risultati del gruppo”. Performance alla quale dà una mano anche lo Stato italiano: i veicoli della Iveco, dal Puma al Lince passando per l’Ariete, sono, infatti, in dotazione al nostro esercito e sono sul terreno nelle più importanti missioni dell’Italia come Afghanistan e Libano. Presto arriveranno anche i nuovi Freccia, prodotti dal consorzio Iveco-Oto Melara (Finmeccanica) per i quali la legge di Stabilità, attraverso i fondi del ministero dello Sviluppo economico, ha già staccato un assegno da 200 milioni. Abbastanza per mettere al sicuro il portafoglio ordini di Iveco Defence anche per l’anno che verrà, nonostante la crisi in Ucraina abbia inevitabilmente condizionato i buoni rapporti commerciali dell’azienda con il governo del presidente russo Vladimir Putin.