L’ambiguità è voluta ma cercherò di chiarirla. Non parlerò solo delle donne spose dei jihadisti, ma anche delle donne che autonomamente scelgono di aderire all’estremismo islamico. Un fenomeno quest’ultimo che è in continua crescita.
Mi sono chiesto: qual è l’ideale di uomo che la donna di religione islamica, religiosamente impegnata, cerca? Vi sono delle caratteristiche comuni a tutte le donne che cercano marito, musulmane e non, quali: l’onestà, l’essere un buon lavoratore, amare la famiglia? Scorrendo i siti dedicati ai musulmani per la ricerca di mariti e mogli, come ad esempio Index Nikah, si possono notare alcune differenze sostanziali con quelli frequentati dai non musulmani. Anzitutto è piuttosto raro che siano riprodotte le foto delle donne. Molto spesso è indicato il tipo di abbigliamento che la donna ha scelto: velo (hijab), velo integrale (niqab) o burqa. Un altro elemento che spesso caratterizza questi annunci è l’esclusione della poligamia. L’inserzione inizia sempre con un saluto ( As-Salamu ‘Alaykum ) e con una professione di fede: sono legata al mio creatore e al nostro ben amato Maometto, dice Farida, una ventottenne in cerca di marito. Le condizioni sono espressamente indicate, che l’uomo sia pio, praticante e che la sua vita si svolga in funzione della conquista del paradiso senza tralasciare i suoi doveri in terra. La forte carica di religiosità che caratterizza la futura unione è, come è ovvio, una delle chiavi interpretative per spiegare il sostegno delle donne a quei mariti che scelgono una deriva estremista. Non sono in prima fila, ma partecipano psicologicamente e alcune volte con aiuti logistici. La religione offre il substrato ideologico delle azioni violente e il convincimento che tutta la famiglia debba essere coinvolta in tale missione.
Ho detto, e voglio sottolinearlo, che è un fenomeno da prendere in considerazione senza abbandonarsi a facili automatismi. Questo, con tutta probabilità, è lo scenario del rapporto tra Coulibaly, l’assassino del supermarket kosher di Parigi, e sua moglie, Hayat Boumedienne. Le considerazioni che ho appena esposte valgono prevalentemente per i musulmani che vivono in Europa e meno per quelle donne che vivono nei paesi arabo-islamici anche se le distinzioni da fare sono molteplici, e variano da paese a paese. Ma questo ci porterebbe lontano dal nostro obbiettivo.
Donne a sostegno del jihad, ma anche donne protagoniste in prima persona, un fenomeno venuto alla ribalta in questi ultimi tempi anche se esempi similari si erano avuti già in Palestina tra il 2002 e 2006 e in Iraq tra il 2005 e il 2008. L’Isis nel 2014 ha creato due brigate femminili attive a Raqqa in Siria e ad al-Anbar in Iraq. In un articolo apparso in un giornale libanese “L’Orient Le Jour”, si stima che il 10% delle persone che lasciano l’Europa, l’America e l’Australia per combattere al fianco dei jihadisti, siano donne. L’Isis ha capito molto bene il ruolo delle donne, non solo come possibili combattenti, ma anche come madri e spose di jihadisti. Ha per di più creato un ufficio di accoglienza che si occupa di un più articolato indottrinamento e soprattutto di una preparazione al matrimonio come presupposto della costruzione di un nucleo familiare ubbidiente alla legge della sharia e pronto a fare proseliti per la causa: insieme ai loro mariti, le donne sono chiamate a costruire il Califfato. I luoghi della propaganda sono primariamente internet ed in particolare tutti i social network.
Abbiamo sufficiente materia per chiederci come mai questo fenomeno stia conquistando sempre più i giovani, ed in particolare le donne. Perché questa necessità di risposte “assolute ed immutabili” che si riscontra nelle motivazioni di tanti che vogliono lasciare il nostro modo di vita, perché questa pulsione di morte che spinge molte donne nelle braccia dei nuovi terroristi dell’Isis? Le risposte sono diverse, ma non è certo il tempo per liquidare la faccenda con qualche alzata di spalle, né tanto meno con soluzioni apparentemente radicali: facciamogli guerra, cacciamoli via, l’Italia agli italiani. Se non vogliamo che questo fenomeno si allarghi sempre più in Europa e altrove, occorre intervenire con tutti gli strumenti a nostra disposizione compresi quelli di intelligence, ma non solo. Bisogna che lo Stato promuova campagne di sensibilizzazione culturali, occorre che i mass media svolgano un ruolo che non sia quello di amplificare delle paure che ormai serpeggiano fra la gente. E’ necessario impegnare i musulmani, in particolare gli imam, perché abbiano sempre più la consapevolezza che questa è una battaglia di tutti contro l’estremismo omicida.