Papa Bergoglio che conosce le leggi dell’audience, somministra ostie verbali, le più ovvie, perché la sua catechesi si insedi lungo la percezione popolare. Il monito rivolto ai mafiosi, la settimana scorsa, durante un’udienza in Vaticano con la Diocesi di Cassano allo Ionio, spacciato dai noiosissimi baciapile della stampa come gesto fragoroso, si situa proprio dentro la strategia del proselitismo di facile e dozzinale presa, inaugurata dal Pontefice. Il Papa ha invitato gli uomini di ‘ndrangheta a convertirsi pubblicamente ed a “divorziare” dall’esercizio del male.

Già, nell’estate del 2014, in occasione del viaggio in Calabria, aveva “scomunicato” i mafiosi, sancendone l’esilio dal perimetro del Vangelo e dei Sacramenti. Sennonché, a distanza di qualche settimana e, quasi in controcanto, un altro sedimentatissimo sentire popolare deragliò dal tracciato di Francesco per reiterare l’omaggio pagano al boss, attraverso l’inchino della processione nei pressi della sua abitazione. La liturgia di Oppido Mamertina racconta di un costume totemico ancora in voga presso alcune comunità calabre, seppure in misura residuale, che trae origine dal bisogno radicato e diffuso di un’idolatria la quale, nonostante la sua tragica e devastante cupezza, si fa carnale e riconoscibile dentro il vicinato. Nelle prossimità dell’agire domestico.

E così il temuto boss si riconferma come oggetto di culto. A testimonianza del fatto che Dio non è affatto morto ma, al contrario, può declinarsi in infiniti modi. Ciascuno si autorisarcisce, come può, del danno di orfananza divina. L’oppio dei popoli, di marxiana memoria, è droga di conforto, in attesa della differita della Finalissima del Regno dei Cieli mai trasmessa in diretta. Una perversione tribale, si dirà. Sudditanza primordiale al potere dell’anti-Stato. Senza dubbio ma non nuda di una qualche legittimazione. Del resto la cultura mafiosa, allo scopo di mietere consensi, ha sempre usato strumentalmente il sentimento di pietas religiosa.

Ma torniamo all’anatema di Bergoglio che non ci pare abbia indotto i peccatori delle ‘ndrine all’abiura del loro credo criminale. E’ pur vero che la ‘ndrangheta, rispetto ad altre mafie, si contraddistingue per una connaturata contrarietà persino al ruvido “pentitismo”, come patto stretto dai malavitosi con lo Stato, in vista dei benefici di legge. Il ravvedimento interiore e l’orrore per il male sono tutt’altra cosa. Figurati se uno “sconto di pena”, quale premio ultraterreno del Padreterno, può entusiasmare i “mammasantissima”. Nemmeno se sfida la legge di gravità della Livella di Totò.

Tuttavia, il Santo Padre potrebbe riprovarci, alzando il tiro. A questo punto, perché l’argentino non stupisce il suo pubblico indirizzando una bolla papale vera a quei preti calabri (e non) che con la ‘ndrangheta hanno sempre intrattenuto relazioni pericolose, incassando proventi, buste di quattrini insanguinati foraggianti le parrocchie? Complici alcuni vescovi omertosi. Le tonache colluse e conniventi, le tonache di malaffare non meritano indulgenza. Sono avvezze al Mea Culpa, per mestiere. Al contrario degli “onorati” padrini, poco inclini alla contrizione, i ministri del Signore saprebbero scontare l’inferno della gogna. Questo sì, sarebbe un colpaccio. L’indice di gradimento della Santa Sede lieviterebbe vertiginosamente. In attesa del botto finale: lo smantellamento dei forzieri dello Ior, custodi del riciclato sterco del Diavolo e, forse, ancora ligi al verbo di Marcinkus.

A meno che non si voglia incentivare l’ateismo di Dio, in piena crisi di autostima.

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