Domanda più che mai attuale, anche a oramai ventisette anni di distanza da quella manifestazione e più di quaranta dall’assassinio di quelle e tante altre persone, in Cile, Argentina, Uruguay e altri Paesi latinoamericani. Persone colpevoli solo di aver chiesto per i propri Paesi ed i propri popoli un avvenire degno, non subalterno al dominio imperialista statunitense e basato sulla realizzazione di un’effettiva democrazia e diritti umani per tutti.
Ricordo come, insieme all’infaticabile Jorge Ithurburu, all’avvocato Arturo Salerni ed altri organizzammo, verso la fine degli anni Novanta, il viaggio in Italia di familiari e testimoni dei desaparecidos italo-cileni. Ebbi ad occuparmi, redigendo una memoria che fu indirizzata al pubblico ministero Capaldo, del caso di Juan José Montiglio, studente universitario italo-cileno allora ventiquattrenne e capo della scorta del presidente Allende, catturato durante il golpe di Stato e subito dopo fucilato. Imputati della sua uccisione tre militari cileni.
A oltre diciotto anni di distanza è finalmente cominciato giovedì scorso 12 febbraio a Roma, presso l’aula bunker di Rebibbia, il processo contro questi ed altri assassini. La scelta degli organi inquirenti è stata quella di unificare questi ed altri misfatti in un unico procedimento intitolato all’Operazione Condor, complotto di forze armate e organismi repressivi dei vari Paesi latinoamericani, sotto l’egida degli Stati Uniti e della CIA per liquidare ogni opposizione, causando decine di migliaia di morti e desaparecidos.
Si tratta di una ventina di vittime di nazionalità italiana, ma anche argentina, cilena ed uruguayana, uccise in Cile, Argentina, Brasile, Bolivia e Paraguay. La difesa dei boia pare avere adottato una strategia dilatoria basata sulla proposizione di ogni possibile eccezione. Ma non sembra che tale defatigante linea d’azione sarà in grado di fermare il corso della giustizia. Intanto, la prossima udienza è stata fissata per il 12 marzo.
Anche se alcuni degli imputati sono stati già condannati negli Stati dove hanno effettuato i loro crimini è importante che si abbia una condanna anche in Italia. E’ peraltro da escludersi l’esistenza di un cosiddetto ne bis in idem internazionale che precluderebbe la ripetizione dei processi. Al contrario, la gravità dei crimini contro l’umanità commessi e la loro natura politica permettono, e per certi versi impongono, ai sensi del combinato disposto degli artt. 8 e 11 del nostro codice penale, che di tali crimini conosca anche il giudice italiano, sempre che si sia avuta, come nel caso in esame, la richiesta del Ministro della giustizia.
Ben si giustifica, in casi del genere, la cooperazione giudiziaria e il convergere delle varie giurisdizioni. Come ci fu, all’epoca, sotto l’egida dei rispettivi Stati e con il coordinamento da parte della CIA, la cooperazione fra gli assassini.
Una storia purtroppo non del tutto superata, se è vero che si annunciano in questi giorni nuovi tentativi di colpo di Stato in Venezuela, mentre un alto esponente dei servizi segreti statunitensi preannuncia gravi disordini in occasione delle prossime elezioni politiche . E mentre la destra, approfittando dell’oscuro omicidio del fiscal Nisman, manifesta a Buenos Aires contro Cristina Kirchner, che insieme al marito Nestor ha compiuto passi essenziali per rendere giustizia ai desaparecidos. Del resto Piñera, ex
Tutto torna quindi. Oggi come ieri c’è chi difende i popoli e chi non indietreggia neanche di fronte ai peggiori crimini pur di tenerli soggiogati. Ma il mestiere di golpista è fortunatamente ben più difficile che in passato, anche se in alcuni casi come in Honduras, purtroppo ancora riesce. Occorre adoperarsi affinché diventi del tutto impossibile e sconsigliabile a chiunque. Un importante insegnamento che deriva dagli eventi degli anni Settanta in Cile e altrove è che avere ragione non basta. Ci vuole anche la forza e saperla usare per neutralizzare antidemocratici e golpisti.